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Voce Serafica Assisi

Dentro il "Campo 87" dove nessuno è dimenticato

08 luglio 2020
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Le esili croci bianche che spuntano verticali quasi si perdono in mezzo ai grandi sassi che frastagliano il terreno. Fra Roberto Nozza, cappuccino del convento di Musocco, si china, indica qualcosa con la mano. Indossa anche lui – come tutti – guanti blu e mascherina di protezione. “Vede? Ci sono dei piccoli fiori su questa croce. Ieri non c’erano, oggi ci sono. È una cosa bellissima. Sa cosa vuol dire? Che qualcuno ha riconosciuto questo defunto, è venuto a cercarlo, l’ha trovato”. Il dialogo si interrompe, scivola in un silenzio profondo, denso di commozione.

Siamo nel Campo 87 del Cimitero Maggiore di Milano, l’area che da mesi accoglie tutti i morti “senza famiglia” da Covid-19 del capoluogo lombardo. Sono le vittime arrivate in solitudine, senza un parente, un amico al seguito; quelle che hanno vissuto la malattia in isolamento, che hanno attraversato la soglia della morte da soli e che, soli, sono arrivati alla sepoltura. Sono i dimenticati da tutti. Tutti… tranne fra Roberto.

La pandemia ha stravolto le nostre esistenze. Cosa è accaduto a lei, fra Roberto?
Da quando è iniziata l’emergenza Coronavirus il mio servizio al cimitero non ha più avuto orari. Giusto il tempo di riposare la notte in convento e poi sono sempre stato qui. Ho ancora stretti nel cuore i giorni drammatici in cui i morti hanno cominciato ad arrivare a tutte le ore… andavo avanti e indietro con la mia bicicletta, incapace di gestire il flusso ininterrotto che si riversava nel cimitero e in particolare nel Campo 87, l’area riservata ai morti “senza-legami” da Coronavirus. Ma ognuna di queste croci è una storia. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare nessuno.

Il Campo 87 rende visibile una delle caratteristiche principali di questo virus: la solitudine…
È tanto brutto pensare a come siano morte queste persone – dai racconti che mi hanno fatto ho capito che è come annegare –, all’isolamento che hanno sperimentato. Sono i morti che non hanno avuto il tempo di un saluto, di un commiato. Spesso magari marito e moglie entrambi malati. Famiglie divise perché tutte coinvolte nel contagio. Così ognuno ha perso le tracce dell’altro. La loro collocazione è provvisoria, dovranno rimanere nel Campo 87 due anni e poi si spera siano riconosciuti per avere sepoltura altrove, magari nelle tombe di famiglia. In attesa di questo, cerco di passare ogni giorno per una preghiera, vedo se ci sono fiori nuovi, se qualcuno è stato ritrovato. Cerco di ricordarli ecco…

Questi mesi cosa hanno significato per lei?
Un incontro continuo. Tante storie si sono intrecciate, tanti dolori. Qualche settimana fa abbiamo seppellito una mamma, dopo poco anche il figlio… si era tolto la vita. Non credo si possa capire fino in fondo lo strazio che questa pandemia ha portato. Ma esserci e, quando è possibile, portare un po’ di sollievo, è il minimo che si possa fare.

Da quanto tempo la sua vita di cappuccino è legata a quella del Cimitero Maggiore di Milano?
Sono ormai 21 anni. Guardi, anche senza Coronavirus questo servizio chiede il cento per cento, non si può fare part-time. È una missione dentro la missione. A volte mi chiedono se ho avuto paura in questo periodo e rispondo di no. Ringrazio Dio. Mi sono accorto, per esempio, che quest’anno sono stato meglio in salute rispetto ad altri anni. In questo modo ho potuto aiutare gli altri senza mai fermarmi. Io non mi fermo, non voglio e non posso fermarmi…

Il momento più toccante che ha vissuto in queste lunghe settimane di emergenza?
Ricorderò per sempre una giovane donna che, mentre stavo impartendo la benedizione ad una bara, è scesa all’improvviso dal carro funebre. Era la figlia della defunta. Non mi ero accorto di lei, pensavo che non ci fossero parenti. Ha iniziato a guardarmi negli occhi e a ripetere “Grazie! Grazie! Grazie!”. Non riusciva a smettere di ringraziarmi, come se quel mio piccolo gesto – non è stato fatto nemmeno il funerale – fosse stato il dono più importante della sua vita. Mi ha toccato nel profondo questa gratitudine semplice ma totale, irrefrenabile, piena di umanità. Ci siamo sentiti meno soli. Una grazia per entrambi.

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