Giubileo

Al servizio della cultura cristiana

lunedì 03 novembre 2025 di fr. Andrea Gatto OFMCap
La parola a fra Luca nel Giubileo del Mondo Educativo

Lo scorso 28 ottobre, al termine della Messa giubilare con gli universitari e nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis del papa Paolo VI, il papa Leone XIV ha firmato una lettera apostolica intitolata Disegnare nuove mappe di speranza. È una lettera che precede di pochi giorni il Giubileo del mondo educativo e la proclamazione profetica di S. John Henry Newman Dottore della Chiesa (1 novembre, nella Solennità di Tutti i Santi). Come scrive il Santo Padre, l’educazione è una delle espressioni più alte della carità cristiana ed è, essa stessa, una forma di speranza. Lasciandosi orientare proprio dalla “bussola” della Gravissimum educationis nel grande panorama e ricevendo in eredità da Papa Francesco la “stella polare” del Patto Educativo Globale, papa Leone consegna al mondo educativo in ogni suo protagonista una carta aggiornata delle costellazioni educative che la Chiesa, Madre e Maestra ha tracciato nel corso dei secoli fino ad oggi, il tempo della nostra attualità, in cui le cattedre ammutoliscono e servono più «tavole dove sedersi insieme». Proprio come ricordava Newman, «la verità è incarnata, e solo un uomo vero può trasmetterla».

E proprio a un educatore in carne ed ossa, fra Luca Di Panfilo, docente di religione cattolica alle scuole superiori di Gualdo Tadino, abbiamo rivolto qualche domanda nel merito della sua vocazione ad essere insegnante nel contesto educativo attuale. Fra Luca, oltre ad essere impegnato nel proprio ministero pastorale, è ormai da tre anni abilitato all’insegnamento della religione, ha conseguito un master in couseling relazionle nei contesti scolastici educativi e socio-sanitari e in psicologia del lavoro, conseguirà a breve una laurea magistrale in Pedagogia. Insomma, un uomo appassionato del Vangelo e al servizio della centralità della persona, in quella che papa Leone chiama “diaconia della cultura”.

Fra Luca, come hai vissuto la tua chiamata a essere insegnante?

La mia chiamata parte dal desiderio di entrare nella vita dei giovani di oggi. Da questo desiderio poi l’obiettivo di prepararmi per l’insegnamento. Mi sono chiesto: dove posso andare? Nella scuola. Ho sempre avuto la passione per la predicazione e per l’educazione alla vita buona del Vangelo, anche svolgendo attività ludiche con i più giovani, e portare i ragazzi a scoprire un Gesù Cristo presente nella storia. Ma più di tutto il desiderio di incontrarli sul terreno della loro vita. Essere un testimone quotidiano e concreto nella relazione con loro. Altra domanda che ho voluto fare a me stesso: che cosa so fare? Partivo da un’esperienza di varie missioni popolari e dall’esperienza di parrocchia nei vari luoghi a cui sono stato inviato. Quello era il mio pane quotidiano. Poi, a un certo punto, come avviene nella normalità della vita, grazie a un tempo fecondo di crisi, ho maturato il desiderio di stare con i giovani.

Come coniughi la tua vocazione cappuccina con quella di insegnante?

Non è facile, uno – come si dice in gergo – si fa il mazzo. Innanzitutto non manco mai all’appuntamento della preghiera. Ciò detto, la vocazione cappuccina significa soprattutto essere frati del popolo, e insegnare ai giovani è il mio modo di vivere questo essere frate del popolo, un uomo cioè che si mette in gioco per proporre alle generazioni più giovani, una gioia e una speranza diverse da quelle falsate dalle sirene di questo mondo.

Parlavi di una visione falsata che viene dal mondo. Secondo te, confrontandoti con i tuoi studenti e le loro famiglie, qual è oggi l’urgenza educativa?

Ascolto, orientamento, essere disposti a perdere il proprio tempo. Questo perché i ragazzi, che non hanno punti di riferimento autorevoli, possano sentire una presenza accanto a loro. A loro manca questo, mi sembra. Sono ipnotizzati da una socialità esclusivamente virtuale, l’ipnosi di oggi. L’ipnosi che Freud usava come metodo catartico, oggi è soppiantata dal feticcio tecnologico. Quello che io cerco di fare, invece, è spendere del tempo con loro anche fuori dall’orario scolastico e, quando siamo in classe, toccare insieme l’attualità, i temi più scottanti dell’oggi. Secondo le indicazioni nazionali per la religione cattolica per la scuola secondaria di secondo grado, la didattica non è meramente nozionistica, ma segue tre passaggi (conoscenze, abilità, competenze). Siamo incoraggiati a trascorrere del tempo con gli studenti, non con autorità ma senza rinunciare all’autorevolezza, provando a entrare nei loro schemi. Cercano una persona che li provochi e li sappia orientare nella vita, anche con “decisione”.

Nella lettera Disegnare nuove mappe di speranza, il papa dice: «La persona non è un “profilo di competenze”». L’insegnamento della religione cattolica, come può offrire un contributo a smantellare un’istruzione solo funzionalistica?

L’insegnante di religione non è un tecnico, ma educa alla vita del Vangelo, smantella l’apparato per costruire relazioni educative. L’insegnante di religione deve essere preparato a tessere relazioni positive. Portare al centro la relazione, basata non tanto su una morale dei valori, ma sul valore etico della relazione, con rispetto, gentilezza, cortesia, collaborazione. Tra i miei maestri c’è don Milani ma soprattutto S. Giovanni Bosco, che diceva: «Il vero educatore deve formare buoni cristiani e onesti cittadini». Il nostro chiostro è il mondo! Per me la vita dei frati non può che essere intrecciata con la vita fuori, la vita del mondo a cui siamo inviati. Per me è sempre stato un punto fermo non mancare l’impegno comunitario della preghiera e della vita nella fraternità, ma nella prospettiva di ridonarmi

Verso la fine del suo documento, a tutto il mondo educativo il papa rivolge tre appelli: disarmare le parole, alzare lo sguardo, custodire il cuore. Come risuonano queste parole dentro di te?

La vita interiore ti apre alla consapevolezza di quello che uno è alla luce di Dio e dei fratelli e la capacità di essere dono, dovunque il Signore mi manderà a lavorare. Il documento del papa non contiene solo parole poetiche, ma un serio incoraggiamento a ogni persona impegnata nel mondo della formazione. Ma per donarsi bisogna riconoscersi figli amati da Dio. Un frate anziano, all’inizio delle mie missioni popolari, mi diceva sempre: «Luca, tu non porti quello che fai, ma quello che sei!». Credo che il papa, con questi richiami, ci dica questo: più sei consapevole di quello che sei (per cui non devi difendere nulla con parole “armate”), non serve neanche più parlare. I ragazzi lo vedono subito. A volte mi capita che sono stanco, e subito mi chiedono, «Prof, come stai?», e io gli dico: Dai, vammi a prendere un caffè e mettiamoci all’opera!

Vorresti aggiungere qualcosa a questa testimonianza di vocazione nella vocazione che ci hai regalato?

Se posso tornare per un attimo alla nostra vita religiosa, Andrea, ti dico questo. Se il provinciale mi chiederà un altro servizio, io andrò. Cercherò di calare il mio essere religioso ed educatore laddove l’obbedienza mi vorrà inviare. Sia che si tratti della scuola, della parrocchia o di un centro di anziani, è importante disporsi sempre a incontrare la realtà, dove sempre è possibile educare alla vita buona del Vangelo. Non smetto di essere un educatore, non smetterò di trasmettere la cultura della fede cattolica, ma questo senza mai dimenticare che il primo impegno che ci compete è di educare noi stessi alla vita che annunciamo.