Giacomo Campiotti

Sono bastati 20 secondi per raccontare, in un’allegra atmosfera natalizia e nel calore domestico, il “Calendario di Frate Indovino” che nel 2026 compie 80 anni. Tre frati cappuccini e una famiglia sono i protagonisti dello spot televisivo realizzato per celebrare l’anniversario dell’almanacco più longevo d’Italia e, forse, del mondo. Le riprese dell’intermezzo pubblicitario trasmesso dalle principali emittenti nazionali sono state affidate a Giacomo Campiotti che oltre ad essere un affermato regista è da sempre un fedele lettore delle notizie e delle spigolature che ogni anno compaiono nelle pagine del nostro datario.
Quando ha conosciuto il Calendario di Frate indovino?
Avevo 5-6 anni. Mia nonna lo teneva in cucina e lo leggeva a me e alle mie quattro sorelle. Noi nipoti ascoltavamo con molta attenzione i piccoli racconti, i consigli per la salute e quelli per l’orto e la campagna, le ricette, i pensieri spirituali e i detti di saggezza popolare. Poi, crescendo, da adolescente, leggevo da solo quei capitoletti cercando con gli occhi quello che più mi interessava.
E che cosa la colpiva di quelle pagine?
Beh, soprattutto le immagini, i coloratissimi disegni. Ricordo che giocavo con le frasi iconiche che trovavo più curiose. Per anni, durante la mia infanzia e adolescenza, il Calendario di Frate Indovino è stata una presenza continua e una piacevole compagnia.
È stato difficile condensare valore e significato del Calendario in uno spot che dura solo 20 secondi?
È stata una sfida, senz’altro. Io ho fatto altri spot pubblicitari per la televisione, ma questo è stata una cosa diversa, un gesto di fedeltà e di continuità. Si tratta di un “prodotto” che si spinge con gioia e perciò si è creato anche un bel clima sul set, nell’intera troupe. Tutti siamo stati contenti di lavorarci. Da Valeria Fabrizi, che interpreta la parte della nonna, anche lei una grande affezionata del Calendario, agli altri, i tre cappuccini, fra Carlo Maria Chistolini, fra Carmine Ranieri e fra Gabriele Pisano, gli attori Valentina Ruggeri e Ugo Piva, che hanno interpretato il ruolo dei genitori, come anche Nathan Pardi e Giada Fortini nella parte dei figli.
Quindi, il Calendario di Frate Indovino è una “ricetta della felicità”, volendo riprendere il titolo di una serie televisiva di successo andata in onda su Rai1 e da lei diretta...
In un certo senso è così. Una delle cose più importanti nella vita, in particolare oggi, è riscoprire il valore della solidarietà e i legami affettivi e familiari, anche attraverso le diverse generazioni, senza inseguire a tutti i costi la modernità.
Lei abita, per scelta, ad Assisi, e respira ogni giorno un’aria francescana. Quanto influisce questo nel suo lavoro?
In effetti io ho un rapporto strettissimo con Assisi e san Francesco. Risale a quando avevo 16 anni e con la mia classe del liceo di Varese facemmo una gita scolastica proprio nella città del Poverello. Ne colsi subito la spiritualità, ammirai per la prima volta la bellezza della basilica e l’arte che essa custodisce: insomma, mi presi una “cotta” per Assisi e in seguito vi tornai spesso. Ancora studente, scappai da casa per andare ad Assisi in autostop, dove fui ospitato da un mio amico umbro, compagno di marachelle, e partecipai anche alla Festa del Calendimaggio. Rimasi affascinato dal santuario di San Damiano e dall’Eremo delle carceri, sul monte Subasio. San Francesco mi ha insegnato la felicità. Poi però a 25 anni me ne dimenticai, per tornare in quei luoghi a 40, di nuovo alla ricerca della fede. Adesso la mia “vera casa” è quella sulle colline assisane.
Una delle cose più importanti nella vita è riscoprire il valore della solidarietà e i legami affettivi e familiari, anche attraverso le diverse generazioni, senza inseguire a tutti i costi la modernità.
Come è nata la sua passione per il cinema e la decisione di fare il regista?
Sono laureato in pedagogia e prima di fare questo mestiere ne ho fatti altri. Il cinema per me era un sogno che, in provincia di Varese, dove sono nato e cresciuto, non si poteva realizzare. Prima di approdare alla macchia da presa ho fatto molto teatro, con spettacoli in Italia e all’estero. Nel 1979 mi capitò di vedere a Rimini una troupe che stava girando un documentario su Dalla e De Gregori durante la tournée di “Banana Republic”. Scoccò la scintilla, mi avvicinai al set e mi proposi di aiutarli a portare i microfoni, trasportare i fili elettrici ecc., qualsiasi cosa pur di partecipare a quel lavoro. Il produttore Alfredo Bini vide che ero bravo e affidabile e potevo fare di più... diventai il responsabile della seconda unità di regia, collaboratore stretto del regista Ottavio Fabbri.
In seguito, ha conosciuto e lavorato con Mario Monicelli, un caposcuola della commedia all’italiana. Ci racconti come andò…
Durante l’università a Bologna vivevo in una casa con otto attori, tra cui Stefano Patrizi che un giorno andò a Roma a fare un provino per un film di Monicelli. Avevo concluso il documentario su Dalla e De Gregori. Mi disse: “Perché non vieni anche tu?”. Anche quella volta mi proposi volontario e fui preso come assistente alla regia per Il marchese del Grillo. Con Monicelli sono stato aiuto regista anche per Speriamo che sia femmina e I picari. Ma a me interessava di più un altro modo di fare i film, che mi era più congeniale, un cinema artigianale e collaborativo come quello di Ermanno Olmi, quindi ho frequentato il suo laboratorio per le idee e le immagini “Ipotesi cinema”.
Monicelli e Olmi, due maestri importanti per un giovane regista. Cosa ha imparato da loro, così diversi come cineasti e come uomini?
Monicelli era un uomo integerrimo, un regista molto tecnico, preciso, che andava subito al sodo. Spesso all’esterno si presentava con un’immagine diversa da quello che in effetti era. È appartenuto a una generazione nobile del cinema. Nella mia serie TV Preferisco il Paradiso su san Filippo Neri, con Gigi Proietti, c’è un po’ del suo modo di concepire la commedia. Olmi invece era un uomo che si faceva ispirare dalla realtà e che aveva uno sguardo introspettivo, un processo creativo tutto suo, un regista capace però di condividere la fase di realizzazione del film con i suoi collaboratori. Si prendeva piccole libertà anche rispetto alla tecnica, aspettava la luce giusta per le riprese, non correva troppo. Sapeva guardare quello che c’è prima di una vicenda da raccontare, era attento all’aspetto sociale e spirituale.
Lei è un regista specializzato nel raccontare le vite dei santi e beati: Giuseppe Moscati, Bakhita, Filippo Neri, Chiara Lubich… Cosa sta preparando ora?
Lavoro senza sosta a un progetto per una serie TV su san Carlo Acutis. Sono alla fase della scrittura. Le riprese le faremo nei luoghi della sua vita. È un impegno assai difficile raccontare la storia di un santo così giovane e dei nostri tempi. Poi…
Poi?
Ho una sceneggiatura già pronta... è custodita in un cassetto e attende di diventare un’altra serie TV. Riguarda san Giuseppe da Copertino, un frate francescano mistico, il patrono degli studenti.
Intervista tratta dal Mensile di "Frate Indovino", n.12, 2025