Concorsi

Il valore delle regole

mercoledì 16 luglio 2025 di Laura Reale, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia
L’applicazione della legge e l’eredità del giudice Livatino

Legge e giustizia non sono concetti sovrapponibili. Definire la prima è, forse, più agevole; si dice che già Pericle, che per primo realizzò pienamente la democrazia in Atene e le diede un fondamento teorico, in un colloquio con Alcibiade, avrebbe definito Legge tutto ciò che chi comanda, dopo aver deliberato, fa mettere per iscritto, stabilendo ciò che si debba e non si debba fare, si chiama legge; precisando, ancora, che sono leggi tutte quelle che il popolo fa mettere per iscritto, dopo essersi riunito in assemblea. In tale definizione il concetto di legge altro non fa che evocare il comando legislativo, cioè a dire quello che tutti i cittadini si danno per regolamentare i rapporti con lo Stato nonché i rapporti tra i cittadini medesimi, al fine di prevenire l’insorgere dei conflitti ovvero, qualora tale risultato non sia perseguito, offrire le regole per una loro soluzione, affidate ad un soggetto che sia terzo, cioè distinto dall’offeso e dall’offensore – quanto al diritto penale – o tra i due litiganti – quanto al diritto civile.

Se, in tale accezione, ciò che si rileva è l’esistenza della regola, anche a prescindere dal rilievo morale dei principi in essa espressi, può accadere che la legge metta per iscritto concetti e regole che da sempre appartengono al comune sentire; tuttavia, ben può accadere, invece, che la Legge ponga regole la cui osservanza (o i cui esiti) può essere avvertita come contraria ai valori fondamentali della convivenza, da cui consegue la percezione della legge (ed i suoi esiti) come ingiusta.

E la nostra storia, difatti, ha conosciuto leggi ingiuste, come le c.d. leggi razziali (rectius razziste). È in tale dicotomia, dunque, che viene in rilievo il concetto di giustizia come qualcosa di diverso e, talvolta, anche distinto, dalla Legge, in quanto diviene idea non coincidente con la mera osservanza di quest’ultima. In tal senso la giustizia non è dunque “mera osservanza di un precetto” ma è qualcosa di più e presuppone un’adesione non meramente formale al precetto di legge ma comprensione profonda del significato che sta alla base della regola e che, talvolta, può essere in contrasto con quei principi fondamentali che regolano la nostra convivenza e che sono sanciti dalla Costituzione.

Le regole, così interpretate, consentono la realizzazione degli individui e la liberazione da forme di sopraffazione e prepotenza, siano essere la mafia o altro e, difatti, l’eredità più grande che i Giudici Falcone, Borsellino e Livatino ed altri, comuni cittadini o uomini delle istituzioni che sono stati uccisi dalla mafia è l’idea che la mafia si combatte nelle scuole, educando al rispetto ed al valore profondo e sostanziale della Giustizia.