Concorsi

“Non ho più paura”

mercoledì 16 luglio 2025 di Filippa Dolce
La lezione dei giudici Falcone e Borsellino nelle parole di una ragazza di 17 anni

 

Il rumore sordo di una città ferita, con il fumo che sale dall’asfalto spezzato e il silenzio attonito dei soccorritori…Sono le immagini delle stragi di Capaci e via D’Amelio ad aprire il video realizzato da Sofia Agrestini, 17 anni, studentessa della 5SP dell’I.T.T.S. “A. Volta” di Perugia, per un concorso che chiede memoria ma trova, in lei, molto di più: trova coscienza, appartenenza, futuro.

Quelle immagini — strade divelte, lacrime e urgenza — non sono semplice cronaca. Sono il racconto visivo di un’Italia che si risveglia di colpo davanti alla verità più dura: che la giustizia può costare la vita. Ma che proprio per questo è sacra. È questo lo spirito che attraversa la lettera scritta da Sofia ai giudici Falcone e Borsellino.

Arriva come un sussurro e al tempo stesso come uno schiaffo la voce di Sofia, parole che affondano come lame gentili nel cuore di una nazione che fatica ancora a guardare davvero in faccia il proprio passato.

“Nonostante io non abbia avuto il privilegio di conoscervi personalmente, la passione e la dedizione che avete impiegato nel vostro lavoro ha segnato in modo indelebile la mia coscienza e la mia anima”, confessa Sofia. Ed è in questa consapevolezza profonda che si gioca la differenza tra il ricordare e il prendersi cura della memoria. Perché Sofia non si limita a commemorare: lei raccoglie un testimone, e lo trasforma in impegno. E ci ricorda che quella dei giudici non è solo la storia di due uomini uccisi dalla mafia. È la storia di due italiani che, consapevoli del rischio, non si sono mai voltati dall’altra parte.

 “È bello morire per ciò in cui si crede”, scrive Sofia, evocando parole scolpite nel nostro immaginario. “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Ma il punto non è la morte. Il punto è il coraggio. Il punto è che quella morte ha senso solo se le nuove generazioni sanno trasformarla in impegno.

Sofia non scrive per retorica. Lei non cerca applausi: fa una promessa. A Falcone promette di non perdere mai la speranza. A Borsellino riconosce la grandezza di chi ha abbracciato il dovere morale fino in fondo, anche a costo della vita. E a entrambi assicura: continueremo noi, a camminare con le vostre idee, sulle nostre gambe.

Forse è proprio questo che ci manca oggi, troppo spesso: l’idea di appartenenza. Sofia lo sa. Sa che la mafia non si combatte solo con gli arresti, ma con la memoria, con l’educazione, con la responsabilità collettiva. E punta il dito, con la compostezza e la lucidità che mancano troppo spesso agli adulti, contro uno Stato che li ha lasciati soli, quei giudici. Uno Stato che oggi celebra ma che ieri si è voltato altrove.

La sua voce — che si alza tra immagini, parole e note — è un grido che squarcia il silenzio colpevole di tanti, l’indifferenza di troppi, la complicità di alcuni. Non è solo il ricordo che spinge Sofia a scrivere. È un bisogno. È l’urgenza di ribadire che far parte di un popolo è una responsabilità. Che “cosa resta è cosa nostra”, come scrive, non è solo un gioco di parole, ma una precisa direzione morale.

E se una ragazza di 17 anni trova la forza di dire “grazie a voi io oggi non ho più paura”, allora non tutto è perduto. Allora forse, davvero, quelle idee camminano ancora. E continueranno a farlo, finché ci sarà anche solo una Sofia capace di alzare la testa e credere in un’Italia diversa.