Giubileo

Il senso dell'economia

mercoledì 30 aprile 2025 di Luigino Bruni, economista
Giubileo degli imprenditori 4-5 maggio 2025

La parola senso ha nella lingua italiana molti significati. I primi significati che vengono in mente, soprattutto se associamo senso alla parola economia, sono: direzione e significato. Entrambi questi sensi dell’economia oggi sono in crisi profonda. La direzione, la destinazione da raggiungere, non è più chiara: i miti del progresso e della crescita sono stati demoliti dalla distruzione dell’ambiente operata, soprattutto, dall’economia. E questa guerra in Europa, dove l’economia è usata soprattutto per imporre sanzioni, ci sta facendo dimenticare che il primo senso dell’economia è nutrire i popoli, l’incontro e lo scambio pacifico. Ma c’è anche un terzo significato di senso dell’economia. Qual è, tra i cinque sensi degli esseri umani, quello più tipico dell’economia? Io credo che sia il tatto. Nei mercati delle nostre città, nelle fiere, il primo gesto è toccare le merci: stoffe, oggetti, frutta e verdura. Ma che il tatto fosse essenziale lo sapevano bene gli antichi mercanti italiani. Leggiamo, ad esempio, nei Ricordi di Giovanni di Pagolo Morelli (Firenze, 1371-1444), una sorta di diario dove il vecchio mercante dà consigli e raccomandazioni ai suoi figli e nipoti: “Non fare mercantia o alcuno traffico che tu non te ne intenda: fa’ cosa che tu sappi fare e dall’altre ti guardi, ché saresti ingannato” (in Mercanti scrittori, a cura di V. Branca).

Il mercante deve toccare le proprie merci, perché i segreti decisivi della conoscenza mercantile si imparano toccando i beni che si comprano e si vendono. I panni, le pezze, le stoffe si conoscono prendendoli in mano, maneggiandoli. Il primo significato della parola manager rimanda infatti alla mano, al maneggiare, al maneggio, dove il cavallo si addomestica tramite l’uso delle mani.

Ancora oggi, nella economia astratta e telematica, se un imprenditore perde il contatto tattile con le cose che traffica, se non esercita il tatto (con-tatto), se non le saggia sfiorandole con le dita, se dimentica come riconoscere le merci senza vederle e solo toccandole, perde competenza e si mette nelle mani di altri (fossero anche i suoi manager), da cui finisce per dipendere interamente. In queste cose non vale la divisione del lavoro né la delega: l’imprenditore deve distribuire le funzioni, può e deve delegare molto, ma non il tatto dei suoi beni, questo deve tenerlo per sé, se vuole restare imprenditore. L’imprenditore italiano è cresciuto toccando i beni. La prima emozione che provava entrando in officina era l’odore della segatura (altro senso) e del ferro limato, e il secondo erano le schegge di legno e di ferro conficcate nelle dita. Era competente delle sue cose come e di più dei suoi operai e tecnici. Era questa competenza del naso e delle dita la sua prima ricchezza.

Si capisce quindi che questo “capitalismo” ha iniziato il declino quando ha messo le imprese nelle mani di tecnici di mercati e di finanza che non toccavano più le cose che compravano e vendevano, che non le riconoscevano dal profumo, perché esperti di strumenti ma quasi mai di mani, di odore e di tatto dei prodotti di quella specifica impresa. Ritorniamo a toccare le cose, forse ne capiremo il loro mistero.

Tratto dal mensile "Frate Indovino", n.7, 2022