Giubileo

I doni “spirituali” che ricevo dalla mia bici

lunedì 09 giugno 2025 di fr. Pietro Maranesi OFMCap
Lo sport vissuto da un frate cappuccino

Da sempre lo sport è stato parte della mia vita. Un momento importante fu quando, dopo l’esame della terza media, invece di volere il motorino come i miei amici, chiesi di chiedere in regalo una bici da corsa. E da quel momento non l’ho più lasciata. Ancora adesso, nonostante l’avanzare degli anni e le loro conseguenze sul rendimento fisico, non sono diminuiti in me il piacere e il bisogno di inforcare la bici e andare. Sì, perché la compresenza dei due sentimenti mi permette ancora di gestire e superare l’istintiva pigrizia con cui il corpo vorrebbe spesso evitare la fatica imposta necessariamente dall’attività fisica. C’è da dire subito però che il piacere e il bisogno di fare sport non sono per me legate e suscitate dall’agonismo, cioè dal rapportarsi ad altri nel desiderio di confrontarsi e possibilmente vincere. Non ho mai partecipato a gare o a competizioni sportive. Eppure, per me ogni tipo di sport – la corsa a piedi, il nuoto, le escursioni in montagna e non ultimo, quando posso, gli sci, ma in particolare la bici che utilizzo regolarmente due-tre volte a settimana per tragitti di 40-50 km, includendo anche impegnativi tratti di salita –, costituisce un momento importante in cui il piacere e il bisogno si intrecciano tra loro regalandomi una triplice esperienza connessa ad altrettanti importanti ambiti della vita.

Il primo regalo che mi viene dalla bici è l’incontro con me stesso, perché essa mi dona momenti prolungati di solitudine. La mia vita di frate cappuccino e di sacerdote non mi concede molte possibilità di andare in bici con altri amici; i tempi non coincidono. Riconosco tuttavia che quando ciò avviene, vivo momenti molto belli, nei quali, condividendo la stessa passione, si creano relazioni umane semplici ma anche intense. Tuttavia anche i miei frequenti giri solitari sono un tempo bello e prezioso, perché mi piace restare in quella solitudine. È un tempo che trascorro senza mai ascoltare musica, perché voglio essere semplicemente a contatto con me stesso, lasciando libera la mente e facendo attenzione al corpo. È un po’ come se l’ordine delle cose si ribaltassero: mentre nella vita quotidiana al centro è la mente, con la quale svolgo la mia attività di sacerdote, di professore, di conferenziere e di scrittore, in bici domina il corpo. Con la bici entro nel tempo del corpo, spinto dal desiderio di sperimentare la sua forza che diventa immancabilmente debolezza, con i suoi entusiasmi iniziali e i suoi sfinimenti finali, dove la strada che si percorre è una festa ma che può diventare una sofferenza.

Mi piace anche guardare al piccolo computerino collocato sul manubrio della bici dove vedo non solo la velocità, i chilometri percorsi e le altitudini raggiunte, ma anche i battiti del cuore e l’intensità dello sforzo che sto facendo. È un tempo dell’incontro con il corpo del quale costatare non solo le sue capacità ancora soddisfacenti ma anche i suoi cambiamenti legati all’età che avanza: godere con semplicità delle prime e accettare con benignità i secondi! Ciò comporta fare di quella solitudine un tempo buono che mi educa al ringraziamento per quanto ancora goduto e all’accettazione umile e paziente nei confronti di un corpo che invecchia.

Nell’incontro con il proprio corpo però anche la mente ne guadagna: aiutata da lui che sta faticando, essa si riposa lasciandosi andare ad un disordine benefico, dove percepisco in modo diverso e pacificato le paure e le tensioni del quotidiano o trovo soluzioni e idee “meravigliose” su quanto sto elaborando nei testi e preparando nelle conferenze. Peccato che in quel momento non sia facile scrivere per appuntare quelle intuizioni “geniali”.

In un mondo iperconnesso, in cui corpo e spirito sono spesso separati, con ritmi frenetici e sedentari, pedalare da frate e sacerdote vuole essere l’ennesima dimostrazione che la fede non è alienazione dal mondo, ma piena immersione nella vita, anche attraverso il movimento fisico; testimonianza di equilibrio e armonia nello stare scollegati dalle reti digitali per rimanere collegati con sé, con l’ambiente e con l’Altro.

fr. Pietro Maranesi

Vi è un secondo ambito prezioso che la bici, più di altri sport, è capace di regalarmi: l’incontro con l’ambiente circostante. La distanza di soli 40-50 km permette non solo di trovarsi con facilità due ore libere, che mi ritaglio a cavallo del pranzo, ma anche di visitare luoghi intorno al nostro convento che altrimenti non avrei mai conosciuto e goduto. Prima di partire occorre infatti decidere il percorso, che normalmente si configura come un giro ad anello o altre volte come andata e ritorno. Ho diversi itinerari che di volta in volta scelgo (almeno così mi sembra) senza un motivo specifico; eppure ho un sospetto: la loro diversa bellezza e le loro caratteristiche, scoperte e vissute nei giri precedenti, costituiscono probabilmente il motivo inconsapevole della scelta, mossa forse dal desiderio di trovare in quel tragitto un aiuto e uno stimolo al mio stato d’animo di quella giornata.

Vivere dentro l’ambiente naturale fatto di colline e di valli, di fiumi e di boschi e dentro il tessuto sociale con le sue strade e i suoi borghi, mi permette di godere di quelle presenze tanto conosciute e abituali, quanto ogni volta nuove e sorprendenti. Tutte insieme costituiscono il mio “paesaggio” che nutre e sostiene la mia umanità e la mia personalità. È interessante questo termine: il “paesaggio” è ciò che vedo dal mio “paese” e che appartiene ad esso facendolo diventare un “paese allargato”. La bici mi permette di vivere il paesaggio: nel mentre mi muovo in esso, vedendone ampie porzioni e da diverse prospettive, divento parte di quel sistema vivente composto da spazi naturali e sociali. E se si usa la bici per muoversi nel proprio paesaggio, si ha la giusta condizione per nutrirsi di esso: la gratuità di essere lì, con l’unico scopo di vedere e godere di quello spazio fatto di natura e cultura, e lì sentirmi di essere nel mio “paese”.

Ed è per questa funzione “ambientale” svolta dalla bici che, quando posso, la porto con me nei miei spostamenti in macchina. Scherzando, dico spesso che essa sia come il cane: appena vede che apro la macchina si infila dietro, nel portabagagli. E quando nei miei viaggi ho la possibilità, la tiro fuori per godermi il nuovo “paesaggio”, visitandone i dintorni. Così quel luogo non resta più solo un nome di città o di paese ma anche un pezzettino del territorio circostante, di cui con la mente ricorderò alcune sue caratteristiche ambientali e urbanistiche, mentre con il corpo sentirò ancora la gioiosa fatica vissuta in quelle visite.

Il terzo ambito di vita di cui la bici mi fa dono è relativo al mistero dell’Assoluto, cioè di Colui dentro il quale e di fronte al quale vivono sia la mia persona, nella sua singolarità e unicità, sia l’ambiente con il suo paesaggio. Sarà forse per la mia forma di vita abituata alla liturgia, ma avverto che anche nel contesto dell’andare in bici avviene qualcosa di rituale: ogni volta mi preparo, vestendomi in modo “diverso”, per vivere un tempo e uno spazio lontano dal quotidiano, una condizione speciale, quasi necessaria, per entrare in una forma di contemplazione, di stupore semplice eppure efficace nel percepire Altro e Oltre.

Durante i miei giri non mi ritrovo mai a pregare in forma verbale, con preghiere orali ripetitive con cui accompagnare il ritmo delle pedalate. Eppure in quei momenti, quasi aiutato dalla bici, vivo una forma di esperienza religiosa, come se, sospendendo per un momento il quotidiano, entrassi in una intensità ambientale e solitudine personale capaci di farmi sperimentare qualcosa di “sacro santo”. Mi sembra che la fatica della bici mi introduca di fronte a Colui che è la risposta non solo alla mia solitudine, sperimentata in quel momento in tutta la sua ambiguità (forte e debole), ma anche alla bellezza e varietà sovrastante del paesaggio in cui mi muovo. Sono lì, solo, dentro un mondo così grande, e la Sua presenza costituisce l’orizzonte che da senso al mio faticare.

Nella mia vita, dunque, la bici mi regala tre esperienze preziose: innanzitutto mi educa al mio corpo a cui chiedo una fatica che, pur diventando a volte sofferenza, mi fa gioire della vita; mi dona lo stupore del paesaggio in cui vivo, spazio così abituale e conosciuto eppure così straordinario e sorprendente; e, infine, mi fa avvertire la presenza silente ma avvolgente di Colui che, pur non essendo né tempo né spazio, conferisce al mio andare il suo senso ultimo e il suo approdo finale, là dove e quando la bici non sarà più utile perché il corpo sarà spirituale e il cielo e la terra saranno nuovi.

Insomma in un mondo iperconnesso, in cui corpo e spirito sono spesso separati, con ritmi frenetici e sedentari, pedalare da frate e sacerdote vuole essere l’ennesima dimostrazione che la fede non è alienazione dal mondo, ma piena immersione nella vita, anche attraverso il movimento fisico; testimonianza di equilibrio e armonia nello stare scollegati dalle reti digitali per rimanere collegati con sé, con l’ambiente e con l’Altro.

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