La posta dell’anima

Quando gli amici non rispondono

venerdì 20 giugno 2025 Fra Carmine Ranieri OFMCap
Una riflessione sul dolore dell’abbandono nelle amicizie e sulla forza dell’amore gratuito alla luce del Vangelo.

Fra Carmine carissimo, sto passando un periodo davvero molto difficile. Alcune persone che pensavo fossero veramente amiche non rispondono più alle mie chiamate o scrivono che sono troppo impegnate per parlare con me. Tutto questo mi procura una tristezza profonda e una grande amarezza. Anzi… un vero e proprio dolore. In generale, nella mia vita ho riposto sempre tanta fiducia nelle relazioni umane. Perché oggi questo mio sentimento di sincera vicinanza non è ricambiato? Ho sbagliato ad aprirmi agli altri? Attendo una sua riflessione che possa in qualche modo darmi un conforto.

Lettera firmata

“Amare e non essere amato, aspettare e non veder arrivare, essere a letto e non dormire, sono tre cose da morire!”. È l’espressione che da bambino sentivo ripetere da una vicina di casa quando era assalita dalla tristezza, ed effettivamente queste situazioni costituiscono alcune delle realtà della vita nelle quali si sperimenta disagio e amarezza. Attingo dal proverbio proprio per parafrasare lo stato d’animo del nostro lettore, gravato dal peso dell’ingratitudine e dell’abbandono. Certamente la reciprocità costituisce una delle regole della relazione interpersonale, ma sembra non corrispondere sempre ai fatti.

Tuttavia, lo specchio del nostro agire è sempre il Vangelo di Gesù, il quale ci ha dettato la regola d’oro delle relazioni: «Come volete che gli uomini facciano a voi, così fate a loro» (Lc 6,31). Questa affermazione si trova nel contesto dell’insegnamento di Gesù relativo all’amore dei nostri nemici, per cui piuttosto che ripagare gli altri con la stessa moneta o provare a dare loro quello che meritano, proviamo a trattarli nello stesso modo in cui vorremmo essere trattati.

Trovo illuminante questa riflessione: «Gesù è morto, abbandonato dagli amici, crocifisso su una croce, respinto dalla società umana, dai capi religiosi e dal suo stesso popolo. Solo una persona lo capiva: Maria, sua madre, che stava ai piedi della croce. Là non vi era più una realtà comunitaria, ma una comunione che superava ogni comunità. Il maestro della comunità ha perfino gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, e “Ho sete”. La vita comunitaria c’è per aiutarmi a non fuggire la profonda ferita della mia solitudine, ma a restare nella realtà dell’amore, a credere a poco a poco alla guarigione dalle mie illusioni e dai miei egoismi diventando io stesso pane per gli altri» (Jean Vanier, “La comunità. Luogo del perdono e della festa”, Ed. Jaca Book, Milano 1991).

 

Tratto dal mensile "Frate Indovino", n.6, 2023

Leggi altre risposte di fra Carmine