Nel 2016, nell’esortazione postsinodale Amoris Laetitia, papa Francesco parlava ancora del Corpo del Signore, ancorandosi alla prima lettera che Paolo scrive alla comunità di Corinto, una comunità che appariva segnata da brutte divisioni. «L’Eucaristia esige l’integrazione nell’unico corpo ecclesiale» (186). Questo, per papa Francesco, è un passaggio importante e delicato, anche nella sua vita (si consiglia la biografia scritta da Massimo Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Milano: Jaca Book, 2017) Borghesi scrive di eucaristia e vita di Francesco in due punti: una prima volta, nel racconto dell’esperienza di guerriglia nell’Argentina degli anni ‘70 (la cosiddetta Revolución Libertadora), che aveva scisso la Chiesa locale; una seconda volta, a proposito del cambiamento della disciplina pastorale della Chiesa in Amoris Laetitia riguardo delle persone divorziate. Sulla Revolución scrive: «La scissione politico-sociale non poteva non riflettersi in quella ecclesiale. La comunione eucaristica diveniva impraticabile». La Chiesa argentina era ostaggio degli estremismi, e stava fallendo nella missione di testimoniare la fraternità evangelica. Proprio in questo contesto Francesco si è posto in dialogo con la teologia del popolo:
"L’Eucaristia esige l’integrazione nell’unico corpo ecclesiale. Chi si accosta al Corpo e al Sangue di Cristo non può nello stesso tempo offendere quel medesimo Corpo operando scandalose divisioni e discriminazioni tra le sue membra. Si tratta infatti di discernere il Corpo del Signor, di riconoscerlo con fede e carità sia nei segni sacramentali sia nella comunità, altrimenti si mangia e beve la propria condanna." (1Cor 11,29) (AL 186).
"I Padri hanno indicato che un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. (…) Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile (…) le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato." (AL 242).
Nei due numeri che abbiamo citato, la parola chiave è “discernimento”. Un primo discernimento riguarda il corpo di Cristo, riconoscerlo nei sacramenti sì, ma anche nella comunità: non posso gustare il corpo di Cristo se non vivo nella comunione; un ulteriore discernimento riguarda coloro che sono preposti ad accompagnare situazioni “irregolari”, che – stando alle parole del papa – vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo (!) che le sostenga nel loro stato.
Eucaristia, alimentum.
"Tuttavia, la vera pietra dello scandalo è stata, come è noto, la nota 351 al numero 305 della lettera del papa: il papa vi afferma che in certe situazioni irregolari potrebbe essere utile anche l’aiuto dei sacramenti. Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. (…) A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa." (AL 305)
"In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti. Per questo, ai sacerdoti ricordo che il confessionale non deve essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore (EG 44). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli." (nota 351)
Ed è proprio a questo proposito che sono emersi dei dubbi. Quattro cardinali, in particolare, scrivono al papa, chiedendogli una chiarificazione (arriveranno poi, come sappiamo, a indirizzargli una vera e propria “correzione filiale” il 16 luglio 2017). Chiedono, in pratica, se
sia ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, legata da un vincolo matrimoniale valido, convive [come marito e moglie] con un’altra. L’espressione “in certi casi” nella nota 351 (n. 305) dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia può essere applicata alle persone divorziate in una nuova unione, che continuano a vivere come marito e moglie?
I dubia dei cardinali richiedevano una risposta sì/no, e cioè una risposta che obbedisse al principio logico di non contraddizione. Ora, abbiamo imparato a conoscere le “opposizioni” di papa Francesco, almeno abbastanza per sapere che il predecessore di Leone non avrebbe dato una tale risposta; e infatti nessuna risposta del genere è stata data ai cardinali e ai loro più che legittimi dubbi.
Anche se, per vie un po’ acrobatiche, una risposta del papa c’è stata e ha segnato una certa novità rispetto al magistero precedente (in particolare a un’esortazione del 1981 del santo pontefice Giovanni Paolo II, Familiaris consortio).
I vescovi argentini si erano dati infatti delle linee-guida in merito all’applicazione del capitolo VIII di Amoris Laetitia:
Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendano possibile, specialmente quando entrambi siano cristiani all’interno di un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere continenza. L’AL non ignora le difficoltà di questa scelta e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione, quando non si riesca a mantenere questo proposito. In altre circostanze più complesse e quando non è possibile ottenere la dichiarazione di nullità, la scelta menzionata può essere di fatto non praticabile. Ciò nonostante, è comunque possibile un cammino di discernimento. Se si giunge a riconoscere che in caso concreto vi siano limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, in particolare quando una persona ritenga di poter cadere in ulteriore peccato facendo del male ai figli della nuova unione, l’AL apre alla possibilità di accedere ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. Questi ultimi a loro volta dispongono la persona a continuare a maturare e a crescere con la forza della grazia.
Papa Francesco scriverà al delegato episcopale: «È la carità pastorale che spinge a uscire per incontrare i lontani e, una volta incontrati, a iniziare un cammino di accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione nella comunità ecclesiale», concludendo infine con parole di incoraggiamento e approvazione: «Lo scritto è molto buono e spiega in modo esauriente l’VIII capitolo dell’Amoris Laetitia. Non sono possibili altre interpretazioni. E sono sicuro che farà molto del bene. Che il Signore ricompensi questo sforzo di carità pastorale». Un rescritto che accompagna questi due documenti pubblicati nella “gazzetta ufficiale” della Santa Sede, conferma che essi devono intendersi velut Magisterium authenticum, cioè come magistero autentico.
Che è cambiato, dunque? Francesco ha apportato una novità nella prassi pastorale finora adottata dalla Chiesa cattolica, consentendo la possibilità, a certe condizioni, di accedere all’Eucaristia. Borghesi commenta:
"(…) non è cambiata la morale né la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio. Cambia la disciplina pastorale della Chiesa. Fino a ieri sul peccato commesso dai divorziati risposati c’era una presunzione di totale colpevolezza. Adesso anche per questo peccato si valuta l’aspetto soggettivo, così come avviene per l’omicidio, il non pagare le tasse, sfruttare gli operai, per tutti gli altri peccati che commettiamo. Il prete ascolta e valuta anche le circostanze attenuanti. Sono queste circostanze tali da cambiare la natura della situazione? No, il divorziato e la nuova unione restano oggettivamente un male. Sono queste circostanze tali da cambiare la responsabilità del soggetto coinvolto? Forse sì. Bisogna discernere."
Il magistero di papa Francesco si radica nella Tradizione della Chiesa, ma con una nota predominante: l’eucaristia è prima di tutto un cibo, carne e sangue del Signore che sono dati da mangiare per la vita del mondo (Gv 6,51).
Forse potremmo chiederci quale idea dell’uomo papa Francesco avesse in mente quando proponeva un approccio così coraggiosamente “pastorale”. Secondo alcuni lettori del pontificato di papa Francesco, è a Romano Guardini, che dobbiamo guardare per trovare una chiave. Guardini si era molto interessato alla teologia affettiva di S. Bonaventura, per il quale Cristo viene innanzitutto per rivelare l’amore del Padre, che con il sacrificio del Figlio ha voluto ristabilire la sua comunione con l’uomo. Francesco sembra averci detto: «Misericordia e Verità si incontreranno», ovvero non si escludono. Per Guardini – maestro di Francesco, come lo era stato anche di Benedetto – si avvicina di più alla verità quella teologia che più tocca il cuore dell’uomo, e che dunque ha un potere trasformativo sulla sua vita pratica. Questa sembra la strada battuta da Francesco. La formula arcinota di H. de Lubac, per cui la Chiesa fa l’Eucaristia, e l’Eucaristia fa la Chiesa, è sbilanciata specialmente sulla seconda: l’Eucaristia, infatti, intesa come l’ha voluta intendere Francesco, è immagine di comunione, e questo non deve essere perso di vista. Da questo comprendiamo che una chiesa eucaristica è una chiesa in uscita missionaria verso le periferie esistenziali, che tanto premevano alla cura del papa. Nel Cenacolo è nata la Chiesa e proprio nel Cenacolo – aveva affermato Francesco durante la celebrazione eucaristica nella Sala del Cenacolo a Gerusalemme (2014) – la Chiesa è nata in uscita: «da qui è partita, con il Pane spezzato tra le mani, le piaghe di Gesù negli occhi, e lo Spirito d’amore nel cuore».