L’ATTUALITÀ DEL PRESEPIO DI FRANCESCO

Giovanni Velita, nobiluomo e, secondo la tradizione locale, “signore di Greccio”, fu per Francesco il corrispettivo maschile di Jacopa dei Settesoli. Entrambi sono unanimemente ricordati dalle fonti come “amici” di Francesco. Il Celano dice di lui che “era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne”16. San Bonaventura lo definisce “uomo virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia secolaresca e si era legato di grande familiarità all’uomo di Dio”17. Un’altra fonte lo definisce uno “che il santo amava di cuore e a cui mostrò profonda amicizia tutto il tempo che visse”.
È un tratto del Poverello raramente messo in luce che richiama da vicino, ancora una volta, la persona di Gesù. Al di fuori della cerchia degli apostoli che pure chiama “amici” (Gv 15,14), Gesù aveva degli “amici” scelti liberamente, senza, per così dire, rapporti di lavoro. Uno di essi era Lazzaro. «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo», dice quasi scherzando sulla sua morte, sapendo già come finirà (Gv 11,11). Francesco che manda a dire a messer Giovanni di preparargli l’occorrente per celebrare il Natale, fa pensare a Gesù che manda a dire a un suo amico di Gerusalemme di preparargli l’occorrente per celebrare la Pasqua (cf. Lc 22,10ss). Anche Francesco, dunque, accanto ai suoi “compagni” della prima ora e ai suoi frati, aveva delle amicizie. L’amicizia è un sentimento irriducibile a ogni altro ed è una ricchezza che solo l’essere umano possiede. Gesù e Francesco, essendo entrambi uomini nel senso più pieno della parola, lo hanno vissuto al meglio. Ma adesso diciamo qualcosa sul tema centrale di questa prima conversazione di frate Angelo Tancredi, e cioè sull’invenzione del presepio. Essa è una delle cose per le quali Francesco ha più influito sulla pietà popolare del cristianesimo. Rileggere oggi la storia della sua istituzione, ci può aiutare a riscoprire il senso religioso e sacro che il presepio ha purtroppo in gran parte smarrito.
Il senso del presepio per Francesco era quello stesso che è all’origine dell’icona. L’icona è stata definita “una finestra aperta sul mistero”. Quello che interessa chi dipinge e chi contempla l’icona è “l’oggetto rappresentato”, non “la rappresentazione dell’oggetto”. Il suo sguardo non si ferma alle figure e ai colori, ma va oltre. Purtroppo è successo all’arte del presepio quello che è successo all’arte sacra in genere: la rappresentazione diventa facilmente fine a se stessa; è la sua bellezza e originalità che conta, più che il mistero in essa rappresentato. Anziché finestre aperte sull’infinito, l’immagine sacra diventa come certe finestre “cieche” negli affreschi barocchi che danno l’illusione di vedere quello che c’è fuori, mentre in esse tutto è finto. Nel caso del presepio, la bellezza artistica, la tecnica e la novità (qualche volta la stranezza!) della rappresentazione rischiano di essere l’unica cosa a cui si guarda e che attira la gente. Non sono da disprezzare queste cose e neppure le gare e le mostre di presepi, ma il ricordo di Francesco dovrebbe spingere almeno le anime e le comunità più sensibili a guardare il presepio con altri occhi: con gli occhi, appunto, del Poverello. Il presepio rientra in quella che nel Medioevo era la “rappresentazione sacra” e anche in quella che era chiamata “Bibbia dei poveri”.
La Bibbia, come libro scritto e parola viva, era allora accessibile a pochi. Affreschi, vetrate e immagini in genere rispondevano al bisogno di rendere presenti eventi e personaggi biblici anche a chi non sapeva leggere e scrivere. Potremmo chiederci: ha ancora senso il presepio e la rappresentazione sacra in genere, oggi che la parola scritta e pronunciata è a disposizione di tutti? Sì e ne spiego la ragione. Il loro bisogno nasce oggi da un motivo diverso, ma non meno urgente che nel passato. Viviamo in una cultura che ha fatto dell’immagine il veicolo di comunicazione principale. Il valore perenne dell’immagine e della rappresentazione visiva nasce dal carattere sintetico e riassuntivo che essa possiede e che permette, a chi guarda, di abbracciare con un solo colpo d’occhio tutta una vicenda e una storia. Per una società “frettolosa” come la nostra, questa caratteristica è di grande importanza. C’è un motivo ulteriore per mantenere in vita la tradizione del presepio. I bambini sono oggi inondati di immagini violente; sarebbe un peccato privarli della possibilità di contemplare immagini di pace e di semplicità come quel le del presepio. Tra i ricordi più vivi della mia infanzia c’è quello del presepio contemplato nella chiesa del paese, al termine della Messa di mezzanotte. Si era appena usciti dalla seconda guerra mondiale e i nostri occhi erano pieni di ben altre immagini. Era come un balsamo. Molti oggi vorrebbero eliminare la tradizione del presepio e di altri simboli natalizi con il pretesto di favorire in questo modo la convivenza pacifica con credenti di altre religioni, in pratica con gli islamici. In realtà questo è il pretesto di un certo mondo laicista che non vuole questi simboli, non dei musulmani. Nel Corano c’è una Sura dedicata alla nascita di Gesù che vale la pena conoscere. È scritto:
Gli angeli dissero: «O Maria, Iddio ti dà la lieta novella di un Verbo da Lui. Il suo nome sarà Gesù [‘Īsā] figlio di Maria. Sarà illustre in questo mondo e nell’altro… Parlerà agli uomini dalla culla e da uomo maturo, e sarà dei Santi». Disse Maria: «Signore mio, come potrò avere un figlio, quando nessun uomo mi ha toccata? ». Rispose: «Proprio così: Iddio crea ciò che Egli vuole, e quando ha deciso una cosa, le dice soltanto “sii”, ed essa è»
In una puntata del programma “A Sua Immagine”, che in quel tempo animavo in televisione, chiesi a un musulmano di leggere questo passo e lo fece con grande gioia, lieto, diceva, di contribuire a chiarire un equivoco che danneggia gli stessi credenti islamici con il pretesto di interpretare i loro sentimenti.