A San Pietro, ieri, Venerdì Santo, il Predicatore della Casa Pontificia e nostra firma di riguardo, padre Raniero Cantalamessa, ha predicato dinanzi a papa Francesco, alla basilica vuota e al mondo intero. Le sue parole hanno colpito per la schiettezza e il calore evangelico. Riportiamo alcuni passaggi dell’articolo che ha scritto per la nostra rivista di maggio, e che tra pochi giorni arriverà nelle case degli abbonati a Frate Indovino.
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Nel pieno della crisi del Coronavirus, il Vangelo ci ha fatto riascoltare la domanda che gli apostoli rivolsero a Gesú a proposito del cieco nato: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» e la risposta che egli diede loro: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio» (Giovanni 9, 2-3).
Anche davanti a eventi funesti come la pandemia del Coronavirus molti istintivamente si domandano: «Di chi la colpa? Cosa abbiamo fatto per meritare un tale castigo?». È consolante riascoltare la risposta di Gesú: «Di nessuno!». Le sventure non sono un castigo, e, se lo sono, non sta a noi individuare i colpevoli. In questo modo, non verremo a capo di nulla. Perché, per esempio, se è un castigo, colpisce in pari tempo colpevoli e innocenti, buoni e cattivi?
Gesú, con quella risposta, ci invita a non fissarci sulle cause dei mali che ci capitano, ma a guardare agli effetti, cioè a quello che, dal male e dalla disgrazia, Dio sa fare scaturire di bene. Nel caso del cieco nato, il bene per il poveretto fu ritrovare, insieme con la vista, la fede, insieme con la luce degli occhi quella dell’anima: «Credo, Signore!», disse. «E si prostrò davanti a lui». (Gv 9, 38).
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La nostra società somigliava da tempo a un’auto lanciata, a folle, in una ripida discesa, con i freni e le marce fuori uso; oppure, con un’altra immagine, a un sonnambulo che di notte cammina sul terrazzo di un grattacielo senza sponde. “Esilio della coscienza”, lo ha definito qualcuno. Più semplicemente, chiamiamola spensieratezza, o peggio, illusione di onnipotenza.
Il Coronavirus è stato un risveglio brusco, ma forse provvidenziale, se servirà a farci tornare con i piedi per terra. A ricordarci che siamo mortali; che con il computer e la tecnica possiamo risolvere quasi tutti i problemi, ma non quello della morte e neppure quello della malattia. È bastato l’elemento più infimo della natura a richiamarci alla realtà.
In una situazione forse analoga alla nostra, dopo che tutti i tentativi per sconfiggere il nemico erano falliti, un profeta della Bibbia arriva a questa conclusione:
«Assur non ci salverà,
non cavalcheremo più su cavalli,
né chiameremo più dio nostro
l'opera delle nostre mani» (Osea 14, 4).
Possiamo fare nostra questa conclusione, cambiando soltanto i nomi degli pseudo-salvatori: Assur, cioè la Siria, è la politica; i cavalli sono le nostre risorse tecniche o belliche. È vero quello che ha detto il noto filosofo M. Heidegger: «Solo un dio ci può salvare». Per noi credenti, non si tratta genericamente di “un dio”, ma di “Dio, Padre del Nostro Signore Gesú Cristo”.
Allora, come dice papa Francesco, non dobbiamo avere paura, continuiamo a pregare con Fede, perseveranza e coraggio, certi che il Signore ascolterà le nostre preghiere: non siamo soli!!!