Nei giornipiù neri e duri della pandemia abbiamo sperimentato un tempo fermo, immobile. Una socialità messa tra parentesi, cristallizzata. Strade, piazze e parchi vuoti; chiese, negozi, mercati e cinema chiusi. Una esistenza reclusa.
In quel periodo – denso di paure e preoccupazioni – c’era uno slogan che passava di balcone in balcone, che ognuno di noi al telefono ha ripetuto ad amici e parenti, nel silenzio a se stesso, che i nostri figli hanno trascritto su fogli spesso associandolo a un arcobaleno, e che la comunicazione mediatica ha potentemente amplificato: “Andrà tutto bene”. Tre semplici parole che ci hanno incoraggiato, ci hanno dato un respiro di ottimismo, la voglia di andare avanti.
Ora che la vita, in qualche modo, è ripresa… non possiamo dimenticare quella frase tanto elementare quanto benefica. Non dobbiamo tradire quella promessa, quella speranza che ci ha rincuorato, che ci ha aiutato ad affrontare quella dolorosa e faticosa prova personale e collettiva.
Nell’attesa che l’incubo Coronavirus si riduca sempre più e svanisca del tutto, l’unica possibilità per fare andare veramente tutto bene è iniziare a cambiare radicalmente prospettiva e affrontare con un grande senso di serietà e onestà i grandi temi che ci affliggono: l’insostenibile divario tra ricchi e poveri; un modello di sviluppo disumano; il lavoro precarizzato, impoverito, umiliato; l’inquinamento, anzi l’avvelenamento del pianeta. Per fare questo, ci vuole una politica (intesa come arte del possibile) responsabilmente e concretamente umana, profondamente cristiana.