A Sant’Anna festeggiamo gli zii
Potremmo chiamarli confidenti, complici, vice-genitori, ma bastano tre lettere per definirli al meglio: zii. Sì, proprio i fratelli e le sorelle di mamma e papà rimangono, malgrado la disgregazione progressiva delle famiglie, punto di riferimento per tanti bimbi e adolescenti, una zona franca degli affetti sulla quale poter sempre contare.
E allora perché non celebrare gli zii? Come spesso accade, gli americani sono arrivati per primi, istituendo fin dal 2009 la Giornata Mondiale degli Zii, che si festeggia il 26 luglio. Non una data qualsiasi per gli italiani, perché cade nel giorno di Sant’Anna, festa del secondo nome femminile più diffuso in Italia nel XX secolo ed anche all’inizio del XXI e poi Sant’Anna, figura non giovanissima, è un’aureola “familiare”, mamma di Maria Vergine e santa protettrice delle madri e delle partorienti.
Ad istituire la ricorrenza è stata la scrittrice canadese Melanie Notkin, autrice del libro intitolato Otherhood (Alterità), dedicato ai suoi zii, opera in cui Notkin fabbrica il nuovo termine Punks, acronimo di Professional Aunts/Uncles No Kids (Zii di Professione Senza Figli), diventato famoso e utilizzato in tutto il mondo. Di certo gli zii dovrebbero essere sempre importanti e amati: sembra scontato ma non lo è, perché oggi tante variabili, per così dire, possono allontanarli dagli adorati nipoti. In testa la mancanza di lavoro, che spesso costringe le giovani famiglie a cambiare città, mettendo centinaia di chilometri tra sé e le zone di origine, dove vivono i parenti. Poi la denatalità: secondo il rapporto Multiscopo Istat del 2016 “Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita”, sono passate dal 15 al 50% le persone che hanno un solo fratello o sorella e quelle che non ne hanno affatto hanno raggiunto il 16%.
Ne deriva che i genitori contemporanei, adulti tra i 40 ed i 60 anni, hanno figli per i quali è diminuita la probabilità di avere più zii e zie. A questo si aggiungono gli effetti di separazioni e divorzi che, inutile negarlo, spaccano i nuclei familiari, costringendo anche i parenti prossimi di entrambi i coniugi a cambiare abitudini, diventando di colpo estranei per bambini e ragazzi. Anche nei divorzi meno velenosi, per quanto gli ex coniugi riescano, con il tempo, a ricucire un minimo di rapporto proprio per i figli, i mesi e gli anni sottratti a zii e nipoti non si recuperano e, se va bene, i ritrovati incontri in famiglia diventano formali e si riducono alle feste comandate.
Eppure, i sostantivi “zio” e “zia” derivano dall’aggettivo greco theĩos che significa “divino”, a indicare il ruolo speciale di queste figure nella vita dei più giovani, che spesso ricoprono di regali, consigliano, proteggono, non potendo però esercitare alcuna autorità. Perché gli zii, va detto, rispetto ai nonni non entrano in competizione con la genitorialità di fratelli e sorelle ma, per quanto possibile, la integrano... in punta di piedi. È illuminante al riguardo il detto di un Anonimo: “Solo uno zio può regalare abbracci come un padre, mantenere segreti come un fratello, parlare d’amore come un amico”.
Tratto dal mensile "Frate Indovino", n.7, 2024