Il rapporto tra le donazioni e la quota di legittima
15 ottobre 2021
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Ho 86 anni e grazie a Dio sono in buona salute. Nel 2000, rimasto vedovo, ho fatto donazione alle mie due figlie della nuda proprietà, con riserva di usufrutto vita natural durante, dell'appartamento in cui abito e di una villetta in campagna. Mi sono poi risposato, vent'anni fa, e non ho altri figli. Mi chiedo cosa e come posso fare per evitare che alla mia morte mia moglie rimanga senza nulla, con il rischio di essere pure mandata via di casa.
Lettera firmata
I cd. legittimari sono coloro cui la legge devolve una porzione dell’eredità del defunto perché a questi legati da uno stretto vincolo di parentela.
In effetti, i legittimari sono il coniuge, i figli (o i loro discendenti, qualora i primi non vi siano) e gli ascendenti (i quali intervengono quando i primi due non vi siano).
Qualora al momento della morte del de cuius, i suddetti legittimari, ovvero alcuni di essi, percepiscano di esser stati lesi nella loro porzione di legittima (e quindi nella quota essi riservata per legge), possono promuovere l’azione di riduzione, andando a colpire tutti gli atti dispositivi compiuti in vita dal defunto, incluse le donazioni, le quali - si dice - vengono collazionate.
Scopo di detta riunione fittizia (diciamo, solo “su carta”) è quella di recuperare l’integrità del patrimonio ereditario, sì da verificare in quali porzioni esso può essere distribuito tra tutti i legittimari.
In vita, però, le donazioni possono essere revocate o impugnate per due ordini di motivi: o per ingratitudine del donatario, ossia qualora il beneficiario abbia commesso degli atti particolarmente gravi nei confronti del donante o del suo patrimonio (es. ingiuria grave), o per sopravvenienza dei figli, ossia quando il donante abbia donato pur avendo figli o discendenti, ovvero li abbia scoperti successivamente alla donazione.
Ad eccezione di tali ragioni, la donazione è, in linea generale, atto irrevocabile.