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Voce Serafica Assisi

Mozambico: così lontani, così vicini

29 ottobre 2021
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Il Mozambico, profondo Sud dell’Africa, è la meta del nostro viaggio di conoscenza e animazione presso la missione dei Frati Cappuccini del Veneto. Siamo un gruppo di giovani guidati da don Simone Bottin: insieme abbiamo sentito forte la chiamata a partire per questo Paese dove la dittatura, la guerra civile, l’Hiv, la malaria hanno creato gravi condizioni di povertà, un’economia che stenta a decollare, un turismo che, nonostante le meraviglie naturali del luogo, fatica a partire.
Prima di partire, proviamo a conoscere già da casa la realtà che visiteremo, attraverso ricerche e incontri di preparazione al viaggio. Qualcosa serve, ma tutto arriva dopo… dalla nostra esperienza diretta.

Il nostro aereo atterra a Maputo, la capitale del Mozambico. È una città che conta più di un milione di abitanti. Qui siamo ospitati dai frati e con loro, seppure per poco tempo, condividiamo momenti di preghiera e ascoltiamo la storia della loro presenza missionaria.
Fra Salvatore Mavida, superiore della Custodia, e fra Luca Santato ci accolgono e iniziano a introdurci in questa realtà, aiutandoci a capire alcuni aspetti di una cultura a volte così diversa dalla nostra. Apprendiamo che in Mozambico, colonia portoghese fino al 1975, si parla il portoghese, ma anche il dialetto bantu; che la religione perlopiù animista si incontra con quella cristiana e con le tradizioni locali e che il Paese africano è un mix di culture e usanze che vanno affrontate con estrema umiltà e delicatezza.

Un paio di giorni dopo, prendiamo un volo interno e arriviamo a Quelimane: la casa per le nostre tre settimane di permanenza. Le giornate trascorrono in comunione con la fraternità, vivendo insieme i vari momenti di preghiera e quelli conviviali; il resto del tempo lo passiamo presso alcuni orfanotrofi della città.
In particolare “Aldeia da Paz”, “Villaggio della Pace”, è un orfanotrofio femminile, guidato dalle suore, con 90 bambine e ragazze, dalla più piccola di 16 mesi fino alla più grande di 17 anni. La loro vita è in qualche modo “protetta” rispetto all’esterno, nonostante tutte loro abbiano conosciuto la tristezza dell’abbandono. Nell’Aldeia, le più grandi si prendono cura delle più piccole, come delle vere mamme, preparando da mangiare, vestendole, accompagnandole a scuola a piedi (anche loro ci vanno, ma la sera). La bellezza di questa casa, che portiamo gelosamente con noi, è un insieme di sorrisi spontanei, di abbracci calorosi e autentici. Ma ciò che ci colpisce di più sono i sogni che ognuna di queste ragazze confessa di avere e di voler coltivare, nonostante le precarie condizioni economiche. Sogni che vorremmo si realizzassero, e che ci sforziamo di realizzare.
“Casa Esperanza” è invece il nome dell’orfanotrofio maschile, che ospita circa trenta ragazzi dai 4 ai 16 anni. L’edificio è vecchio e buio, ha un salone e camerate con letti a castello. Anche qui i ragazzi che hanno qualche anno in più si prendono cura dei più piccoli, ma rispetto alle ragazze sicuramente sono meno seguiti. La loro giornata si svolge andando a scuola la mattina e facendo lavori in casa e in campagna nel pomeriggio; ma per molte, troppe ore rimangono soli. La casa è in pessime condizioni, solo una grande ristrutturazione renderebbe dignitosa la vita di chi la abita. E scopriamo che nella struttura non ci sono i materassi… tutti dormono per terra.
Il Vescovo del luogo ha chiesto recentemente ai Frati Cappuccini di farsi carico di questa realtà per aiutare il loro cammino nella vita quotidiana e scolastica.
Al nostro arrivo facciamo fatica a entrare in empatia con i ragazzi perché loro sono (ma forse lo siamo anche noi) timidi, schivi, diffidenti; poi però attraverso il gioco e soprattutto il calcio - la loro vera passione - riusciamo a conoscerli e a farci conoscere.
Ormai ci siamo abituati al cattivo odore che impregna tutte le pareti di quella casa fatiscente, i nostri vestiti ne sono “inzuppati”. Non facciamo più caso alla polvere e alle ragnatele. Ogni distanza è superata.
Veniamo a sapere che non sempre hanno cibo a sufficienza e a volte saltano i pasti. Perciò un pomeriggio portiamo frutta, pane e burro di arachidi per fare merenda. La loro sorpresa e la loro riconoscenza sono veramente grandi, persino troppo per il poco che facciamo: tutto ha un sapore che non avevamo mai gustato prima!
La povertà qui in Mozambico ha toccato punte drammatiche soprattutto dopo le inondazioni e il ciclone Idai che ha fatto vittime e distruzioni fin nei vicini Paesi dello Zimbabwe e del Malawi. Moltissime persone già povere hanno perso tutto, soprattutto la loro casa. I frati sono stati e stanno vicini alla gente, creando un ponte di solidarietà con l’Italia, aiutando come possono. La loro testimonianza è davvero importante, potente.

Il nostro viaggio prosegue con una breve visita di tre giorni a Milange, sul confine con il Malawi. Ci accompagna fra Luca. Durante il tragitto ci fermiamo a Mocuba, dove assistiamo al funerale di un giovane frate. Il lutto è vissuto intensamente e condiviso da moltissima gente.
A Milange ci accoglie fra Celestino Miori, frate italiano in Mozambico da quasi cinquant’anni. Si sedimentano forti, dentro di noi, le parole della sua testimonianza: “Solo una vita vissuta per gli altri è vera vita”. Una semplice e centrata riflessione sull’importanza e la bellezza di spendersi per gli altri. E comprendiamo veramente quanto può essere preziosa, per la gente del luogo, questa vocazione.
Anche qui i frati gestiscono una casa di accoglienza per adolescenti e una scuola agraria dove i giovani sono formati con corsi pratici, in modo che possano trovare un lavoro dopo la scuola.

Al rientro a Quelimane, giunti ormai al termine della nostra esperienza in Mozambico, i seminaristi e i frati organizzano in seminario una cena per salutarci e per dare inizio al loro anno scolastico. Ci sentiamo accolti con semplicità e generosità.
Anche i ragazzi di “Casa Esperanza” ci vogliono salutare. Ci preparano un dolce per esprimere la loro riconoscenza e per dimostrare ancora una volta la loro amicizia. Lo gradiamo moltissimo! Si radunano insieme e c’è un momento di festa. Qualcuno di loro ci chiede: «Perché non venite a mangiare con noi?». Loro non hanno ancora pranzato. Noi sì. Ci portano orgogliosamente nel loro refettorio per farci vedere che cosa ci saremmo persi. Nei piatti c’è ben poco: della polenta di miglio e una piccola testa di pesce. È il loro unico pasto della giornata. Per loro un lusso, per noi uno scarto. A stento tratteniamo l’emozione. In questo luogo, spezzare il pane insieme, ha per noi il sapore concreto della comunità, del condividere reali frammenti di vita.

L’esperienza vissuta in Mozambico è ancora viva in noi. Continuiamo a ricevere notizie dei nostri nuovi amici da fra Luca. La gioia autentica per le cose semplici e l’affetto sincero che quegli orfani ci hanno donato resteranno per sempre nei nostri cuori. Quello che abbiamo vissuto in quella terra lontana ha cambiato le nostre esistenze perché ci ha permesso di incontrare l’altro in una prospettiva completamente nuova, totalmente diversa. Cercheremo di trasmettere questa ricchezza interiore alle persone che ci circondano. Speriamo di averlo fatto anche con voi.

a cura di Giulia Maio

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