1 maggio, festa delle persone che lavorano
L'intera creazione «attende con impazienza la rivelazione della gloria dei figli di Dio», cioè degli uomini.
Come insegna un padre della Chiesa ortodossa, «l'uomo, a differenza degli angeli, forma una parte organica del mondo materiale, e collocandosi nel punto più alto dell'evoluzione di questo mondo è capace di portare con sé tutto il creato verso la trascendenza» (I. Ζηζιούλας).
Giuseppe non era solo un lavoratore, ma un padre, un marito e un fedele servo di Dio che lavorava del lavoro delle sue mani. Il lavoratore non è un'entità strumentale a un profitto (sia esso un profitto per sé o per altri): è una persona. «L'essere persona richiede costantemente agli esseri umani di trattare la creazione come una realtà destinata da Dio non solo a sopravvivere ma anche a raggiungere "pienezza" nelle mani e attraverso le mani dell'uomo» (id.).
Oggi non è la festa "dei lavoratori", ma delle persone che lavorano, che con le loro mani (e anche con la tecnologia, a patto che sia umanizzata), liberano la creazione dai suoi limiti, integrandola creativamente nella trama della loro vita, delle loro relazioni, perché è di Dio e a Dio la si deve restituire bella e significativa, altrimenti muore ed è dimenticata.
Il lavoro dell'uomo è per la sopravvivenza della creazione.
Francesco d'Assisi, nel Testamento dice: «Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio» (FF 119).
L'ozio, nella tradizione spirituale, è l'habitat naturale del peccato, cioè della vita s-creanzata, la vita che non vuole creare nulla, ma solo mangiare. I bambini intuiscono la tragedia del peccato. Il peccato è quello che il bambino vuole rimediare dicendo: "Non sono stato io!".
Il lavoro, invece, è quello che il bambino descrive bene quando, con una certa solennità, dice: "L'ho fatto io", accorgendosi di essere come "di più" della sua età, perché non ha sprecato quel foglio di carta, ma lo ha liberato dalla sua opacità. E non di rado il bambino, quel foglio, lo vuole regalare a qualcuno.