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Educare alle relazioni

12 marzo 2024
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Cosa fare per far maturare nei giovani il senso di rapporti autentici?

L’iniziativa ministeriale
“Educazione alle relazioni” è la direttiva emanata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito nel novembre 2023 “al fine di rafforzare l’impegno verso un’azione educativa mirata alla cultura del rispetto, all’educazione alle relazioni e al contrasto della violenza maschile sulle donne”. Il percorso, indirizzato agli istituti superiori, prevede 30 ore di lezione in orario extracurriculare, e in una prima fase sarà facoltativo. Sarà svolto in forma di gruppi di discussione coordinati da docenti opportunamente formati e coinvolgerà anche l’ordine degli psicologi e i centri antiviolenza. Ne abbiamo parlato con Silvia Cataldi, docente associato di Sociologia presso l’Università La Sapienza di Roma e coordinatrice del corso di laurea in Psicologia.

Professoressa Cataldi, quale importanza riveste l’educazione relazionale?
Rappresenta un punto di partenza importante nella lotta contro la violenza di genere. Inoltre, l’inserimento dell’educazione relazionale all’interno dell’educazione civica è un passo positivo, perché si inserisce in un approccio interdisciplinare. Con l’educazione civica impariamo che la Costituzione della Repubblica Italiana è ancora fonte di ispirazione per l’oggi, in quanto non solo sottolinea il principio di uguaglianza ma anche il rispetto dei diritti inviolabili della persona.

Quali dovrebbero essere i punti fondamentali da affrontare nell’Educazione alle relazioni?
Innanzitutto, portare alla consapevolezza di stereotipi e pregiudizi.
E poi?

Analizzare, dati alla mano, le disuguaglianze di genere e gli ostacoli ancora da superare, sia sul piano economico che sociale, per favorirne una comprensione approfondita. Stimolare una riflessione critica sul tema della mascolinità e femminilità, per comprendere come queste costruzioni sociali influenzino aspettative e comportamenti. Educare alla pro-socialità, facendo sviluppare agli studenti competenze relazionali che incentivino la cooperazione, il rispetto e la comprensione reciproca. Mettere in campo progetti pratici che contribuiscano a formare cittadini attivi e responsabili.

Secondo lei, quando è opportuno iniziare questo tipo di percorso?
La scuola può fare la sua parte, ma è necessario sottolineare che questo tipo di intervento deve avvenire ben più precocemente. Le ricerche scientifiche, infatti, mostrano che gli schemi di genere sono interiorizzati nei primissimi mesi di vita. Quindi è importante agire presto. E sicuramente è vitale coinvolgere attivamente le famiglie, anche con programmi di educazione alla genitorialità e iniziative territoriali di promozione del benessere.

L’iniziativa pastorale
L’educazione alle relazioni è al centro delle attività dell’Opera Salesiana di Genzano (Roma), di cui è responsabile don Maurizio Verlezza.

Don Maurizio, la relazione con l’altro non può prescindere dalla comunità…
La comunità è la risposta naturale, poiché essa si crea innanzitutto investendo nella ricerca dell’altro, guardando l’altro come un dono e dove io – guardandolo, ascoltandolo e entrandoci in rapporto – cresco come persona.
Facendo riferimento evidentemente alla nostra identità cristiana, una comunità è tale nella misura in cui cresce nella reciprocità dell’amore: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” ha detto Gesù. Amare vuol dire essere disposti a consegnare un pezzo di sé, addirittura la vita, per gli altri. Più questa esperienza cresce nel tempo e più il giovane, l’educatore, la mamma, il papà fanno esperienza di comunione e non si sentono soli nell’avventura educativa.

Un esempio concreto è un progetto che lei sta portando avanti che si chiama SOS Ascolta Giovani, ma che di fatto è un SOS Ascolta Genitori, poiché si tratta di una rete positiva in cui genitori di figli adolescenti ed educatori si confrontano su situazioni concrete – ascoltando anche le esigenze dei ragazzi – senza essere lasciati da soli…
Certo. Il prossimo incontro, per esempio, sarà su come gestire il tema dell’utilizzo dello smartphone. L’immagine più eclatante è quella dei componenti di una famiglia a tavola tutti insieme, ciascuno col proprio telefonino in mano, che non relazionano tra di loro ma apparentemente relazionano con il mondo esterno. Tutti sembrano essere contenti. Cosa manca invece? Il dono immenso che l’altro è per me! Perché nella condivisione l’altro è un grande regalo per la mia vita, per la sua identità di uomo. Ma se io non entro in relazione con lui mi perdo un’occasione importante.

Forse è il concetto di dono che andrebbe chiarito. Siamo abituati a pensare che il dono sia solo qualcosa che nutre un nostro bisogno, un nostro desiderio …
Per questo è importante dare sempre uno spazio alla relazione positiva. Quando parlo di relazione positiva vuol dire che in tutti c’è un punto accessibile al bene. Il punto è che manchiamo di amabilità, cioè della capacità di accogliere l’altro così com’è, nel suo essere differente da noi, dal punto di vista sociale, affettivo, ideologico… E così ci dimentichiamo il tema fondamentale: che l’altro è sempre un dono! Anche quando ci ostacola. In quel caso magari ci aiuta a fare un percorso di pazienza o di autoanalisi. Bisogna essere intelligenti (intelligenza sensibile), saper leggere dentro di sé quello che l’altro ci sta mostrando col suo modo di presentarsi nella sua diversità, nella sua ricca diversità.

Il problema sono davvero i giovani? O prima ancora dei giovani bisogna educare gli adulti?
Ecco il punto! La sfida è educare noi adulti, noi genitori, noi educatori. I nostri giovani ci “provocano”, ma è qui che entra in gioco la forza dell’adulto, perché la pro-vocazione è una vocazione che va ancora più in là rispetto a quanto già fatto.
Questo però può realizzarsi solo se ci si relaziona con chi ha i miei stessi problemi. Perché il passetto in avanti fatto da un genitore donato ad un altro genitore, attraverso il racconto della propria esperienza, diventa una grande occasione. Anche se le storie sono diverse le une dalle altre. E lo spazio di relazione diventa il luogo in cui non ci si sente più soli.

Quali sono le regole imprescindibili dell’educazione alle relazioni?

Ascoltare e confrontarsi. Ma per poter ascoltare veramente l’altro bisogna ri-identificarlo come un dono. Questo può succedere, diremmo in termini evangelici, facendo il vuoto dentro di sé, mettendo cioè un po’ da parte sé stessi per accogliere l’altro. Non si può accogliere l’altro se si è pieni delle proprie preoccupazioni, dei propri pensieri, delle proprie emozioni o dei propri automatismi di risposta. Il rischio è che si resti al livello del superficiale sentire e non del profondo ascoltare.

Come si fa a raggiungere l’ascolto?

Ci vuole un po’ di ascesi cristiana anche in termini psicologici. C’è bisogno di mettersi un po’ da parte. Sappiamo bene che il narcisismo non dà spazio all’altro.
C’è bisogno di perdere un po’ di sé per fare spazio all’altro, ma essere convinti, con esercizio psicologico affettivo, che l’altro è un pezzo importante per la mia vita.  Le persone che sanno ascoltare sono persone chiaramente mature, uomini e donne che hanno una profondità.
Tutto questo si può apprendere a scuola, con strategie come la direttiva sull’educazione alle relazioni?
Io che lavoro da tanti anni con i giovani ho un po’ paura di buttare addosso agli insegnanti questa responsabilità. I professori sono professori nelle loro materie, non possono essere degli psicologi. La scuola deve svolgere la sua attività educativa. Un insegnante non ha necessariamente studiato psicologia, né pedagogia; ha studiato inglese, matematica, fisica, letteratura, ed è questo che può e deve dare. C’è bisogno, invece, di Comunità Educative. Il primo luogo dove fare questo esercizio di educazione alle relazioni è la famiglia, ma talvolta i genitori sono presi da mille cose e da soli non ce la fanno. Quando le domeniche pomeriggio nei nostri incontri di comunità i genitori stanno tra di loro fanno passi in avanti straordinari, soprattutto per gestire il conflitto. Le faccio un esempio: togliere il cellulare ad un adolescente potrebbe scatenare una guerra civile. Il genitore dovrebbe tenere il punto, ma non ce la fa perché vive la frustrazione, perché non ha risolto magari la sua adolescenza, ecco perché ha bisogno di essere in contatto con gli altri.
Nei nostri centri educativi facciamo questo genere di esperienza. Ci confrontiamo su temi concreti.
Ma pensiamo anche agli scout dove i ragazzi vivono l’idea di servizio e sono felici di adoperare le loro ore per una relazione positiva, la relazione col mondo, con la natura, con gli animali, o ai giovai che fanno volontariato, che si mettono al servizio degli altri… tutte realtà che permettono di educare alle relazioni.
Nel caso della scuola la risorsa di una comunità educativa sono gli insegnanti che si mettono in discussione.

Una sua riflessione finale…
Se è vero che per i nostri giovani sono necessari spazi educativi e strategie che li tolgano da situazioni di vuoto esistenziale, è soprattutto vero che gli adulti prima di tutti, dovrebbero ricostituire spazi di comunità in cui relazionarsi positivamente, ascoltare ed ascoltarsi, per poter a loro volta trasmettere queste modalità relazionali alle future generazioni.

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