Servizio Clienti (+39) 075 5069369
Email info@frateindovino.eu

L'attualità e gli approfondimenti dal mensile

Frate Indovino

Primo Piano

Cercare di essere capolavori

04 maggio 2023
Condividi
Salutiamo un caro amico di Frate Indovino che ci ha lasciati. Qui di seguito un'intervista pubblicata sul numero di agosto 2022 del nostro mensile.

Intervista al regista di film e fiction di grande successo Alessandro D’Alatri

“Il nostro cinema? Troppa realtà. Mancano fantasia e amore per il bello”

Il commissario Ricciardi, I bastardi di Pizzofalcone, Un professore, tre fiction di successo di un regista che sa trasportare in TV la sua passione per le storie ed i personaggi, il suo entusiasmo per la vita. Lui è Alessandro D’Alatri: nasce attore, a soli 8 anni, ma si porta nel lavoro di regia lo stesso sorriso, lo stesso sguardo luminoso che hanno colpito i grandi registi con i quali ha cominciato. Da Vittorio De Sica a Luchino Visconti, da Sandro Bolchi a Giorgio Strehler, firme prestigiose per i suoi esordi da bambino prodigio, transitato da scene e ciak in studio alle tournée teatrali in giro per l’Italia. Un’esperienza respirata a pieni polmoni e quando D’Alatri, negli anni Settanta, ha scelto di stare dietro la macchina da presa per girare più di cento spot pubblicitari, il talento è subito emerso e sono arrivati i premi più ambìti.

Maestro D’Alatri, è stato un antesignano della pubblicità di qualità, ha creduto per primo nella TV commerciale e poi altri colleghi l’hanno seguita. Quanto ha contato in questa scelta l’aver cominciato con registi di razza?

Come tutti i lavori, quando fatichi e non te ne accorgi, non pensi di lavorare ed è una gioia andare a dormire sentendosi a posto, fedele agli insegnamenti dei genitori. Faccio ciò in cui credo, il compromesso non porta a nulla e penso che in questa fase delicata che stiamo vivendo, anche nel cinema, sia necessario progettare, mantenendo un impegno personale costante. Per dirlo con Carmelo Bene, ora dobbiamo cercare di essere capolavori, non fare capolavori.

È partito da attore, questo come l’ha aiutata a diventare regista?

Mi ha aiutato soprattutto a diventare una persona. Io la mattina vivevo come i miei coetanei, la sera lavoravo con gli attori. Si immagini cosa può significare per un ragazzino di quinta elementare recitare Cechov, fare le tournée, girare nelle miniere di pomice... A fine anni Settanta quel cinema è morto, registi e produttori si sono votati alle pellicole sexy. L’alternativa era il cinema autoriale, punitivo nei confronti del pubblico. A me offrivano ruoli distanti dal mio modo di vedere. Vengo da una famiglia operaia e contadina, che da decenni ha il calendario di Frate Indovino e la sua saggezza a scandire le giornate e così pensavo spesso a una frase di Eduardo che, ai giovani interessati al teatro, diceva: “Vuoi fare l’attore? Accattate ’na seggia”, per dire che bisogna aspettare, pazientare per ottenere ciò che si vuole.

L’hanno definita l’erede della commedia all’italiana: si ritrova in questa valutazione?

Magari fosse vero. Sono cresciuto con il cinema italiano, nelle sale di quartiere, la domenica, con i film di terza visione. Oggi la famiglia che va al cinema spende almeno 50 euro, noi con 1.500 lire compravamo anche le sigarette. Voglio dire che manca anche l’offerta popolare, quella delle sale parrocchiali che un contributo lo davano.

La pandemia è l’evento del terzo millennio che segnerà un prima e un dopo. Durante il triennio maledetto lei ha lavorato soprattutto per la TV con fiction di grande successo e audience. Cosa ha cambiato il Covid sui set, in quel film nel film che c’è dietro ad ogni lavoro?

Il clima sul set il pubblico poi lo sente, per questo la cosa più difficile sono i casting: io li faccio per tutta la troupe, perché è fondamentale avere la squadra giusta. Realizzare un film o una fiction è un atto d’amore. La pandemia è stata un segno di rottura, per gli italiani ha cambiato tutto: noi ci abbracciamo, stringiamo la mano… guardare l’altro con sospetto per paura del contagio ci ha modificato il pensiero, tolto la logica. Certo che ci sarà un prima e un dopo, ma conta anche cosa siamo noi in questo momento, cosa ciascuno riesce a fare.

La crisi delle sale cinematografiche e l’avanzata delle piattaforme streaming, insomma l’on demand: è un danno per il cinema?

Produciamo circa 300 titoli per le piattaforme, ma ne emergono 5-6. Il problema vero è che ci sono delle filiere, si fa un cinema assistito, non esistono più gli imprenditori che rispondevano in proprio e il pubblico ha preso le distanze da questo tipo di cinema. Fare cinema oggi è un hobby, chi ci lavora deve accontentarsi di 300 euro lordi al giorno, di 5-6 pose all’anno e questo significa recitare gratis. È quasi un miracolo che il nostro cinema vada in giro per il mondo, anche perché è un cinema che ha perso l’attitudine popolare. Servono produttori che mettano la passione, invece tutto è molto meccanico, a partire dal finanziamento. Il nostro Paese sta soffrendo di asfissia culturale e questo è un aspetto, è quanto resta di anni di tagli, di vuoto politico.

Ha vinto premi importantissimi non ancora quarantenne. Oggi, a quell’età, chi non sceglie il reddito di cittadinanza comincia forse a pensare al lavoro, al futuro, certo per tutta una serie di problemi, non ultima la pandemia. Il cinema fotografa le situazioni, le epoche, spesso le anticipa, ma se con un film dovesse suggerire una soluzione per la disoccupazione giovanile, che tipo di storia farebbe? Il biopic di un personaggio illustre, o la vita di un uomo, di una donna qualunque che fanno scelte eroiche spesso senza saperlo?

Oggi la più grande medicina è la fantasia. Vediamo però un cinema che racconta la realtà e quello fantastico che ci porta in mondi sconosciuti dov’è? Se c’è rivelazione, voyeurismo sano, si producono capolavori, Pasolini insegna: creava film magici raccogliendo interpreti dalla strada che metteva accanto a grandi attori. E nasceva la commistione, la bellezza di Mamma Roma. Con Fellini c’era Flaiano che scriveva per sollecitare la fantasia, la curiosità e questo fa crescere. Oggi l’80% del cinema prodotto parla di degrado, di sofferenza, ne La grande guerra, Tutti a casa, Una vita difficile, si raccontava la storia d’Italia, era il dramma sì ma dentro c’era la commedia. Per fortuna i teatri si ripopolano, io sono un grande consumatore di teatro. Verificare che il pubblico, davanti a un’offerta tanto megalomane di prodotti audiovisivi, esprima la propria voglia di sincerità e di onestà uscendo di casa per vedere uno spettacolo, beh, mi rincuora.

Pensiamo alla sua rilettura della figura di Gesù ne I giardini dell’Eden, un film sull’apprendistato di uno sconosciuto Jeoshua. La religione oggi che posto occupa nella nostra vita?


Fino a qualche tempo fa si teneva molto al rapporto con l’intangibile, attraverso la celebrazione di matrimoni, battesimi, che stavano a dire come non si potesse vivere senza Dio. Oggi non possiamo vivere senza il denaro, ma la domanda interiore forte è: dove andremo? Non possiamo nutrirci soltanto di presente e allora dobbiamo riuscire a comunicare meglio anche la religione. Pensiamo al Vangelo, a passi della Bibbia letti da attori, sarebbero di una potenza grandiosa.

Ricorre nei suoi film a personaggi altri rispetto al cinema, seppure appartenenti al mondo dello spettacolo, come Jovanotti, Paolo Bonolis, Fabio Volo. Cosa aggiungono? Forse l’assenza di mestiere?

Il talento è quello che apprezzo di più negli attori. Prima arrivavano dal varietà, dalla rivista, uno su tutti, Alberto Sordi, oggi provengono dalla TV, dalla radio. Il talento non può essere ordinato in un casellario, Bonolis, ad esempio, ha una capacità dialettica unica. In più questi personaggi non si mettono in bella posa, ma sanno mettersi in gioco, diventare altro da sé, cosa non proprio comune.

Gallery

Calendario

Richiedi subito la tua copia del Calendario

Sono presenti degli errori. Assicurati che i campi siano completi e corretti e reinvia il modulo.
Grazie ! La tua richiesta è stata inoltrata con successo. Ti contatteremo al più presto.