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Come ottenere il diritto all’acqua

25 settembre 2019
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Da quando scrissi sul vostro mensile nr. 7 del 2015 che “il Comune incassa le tasse ma ci manca l’acqua potabile”, son passati 2 anni ma la situazione è peggiorata. Non è cambiato nulla anzi sono senz’acqua completamente, perché il contadino del terreno dove avevo il passaggio della servitù, ha vietato il passaggio sul suo terreno. Le cinque vasche in cemento armato del 2005 costruite e non finite sono state abbandonate, lavori pagati con i soldi delle nostre tasse! Per ottenere un nostro sacrosanto diritto dobbiamo ricorrere allo sciopero della fame o della sete, oppure rivolgerci al Prefetto o agli organi di Legge? Desidero un consiglio.

Lettera firmata

L’art. 97 della nostra Costituzione stabilisce l’importante principio dell’obbligo di risultato alle pubbliche amministrazioni. Il D. lgs. 198 del 2009, proprio in applicazione del precetto costituzionale citato, ha messo a disposizione dei cittadini un nuovo istituto giuridico: l’azione collettiva contro le inefficienze delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici.
Tale istituto permette a determinate collettività di cittadini, ovvero anche a singoli titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei, di agire in giudizio nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici i quali, nello svolgimento delle proprie attività, abbiano cagionato una lesione diretta, concreta ed attuale ai loro diritti; inoltre uno dei presupposti alla proposizione di codesta azione legale è proprio la “violazione di obblighi contenuti nelle carte dei servizi” che pare essere assolutamente assimilabile alla fattispecie de quo. Difatti va da sé che il mancato completamento dei 5 vasconi in cemento armato da parte del Comune renda palese la violazione di uno standard che, come lei ha riferito, era stato più volte promesso dal Comune nella persona del sindaco e che comunque difficilmente può escludersi da quell’insieme di servizi essenziali che l’ente comunale ha l’obbligo di fornire. Il procedimento impone la notifica di una previa diffida all’ente interessato, nella quale si indicano gli interventi necessari da compiersi entro il termine di 90 giorni, decorsi i quali si può ricorrere in giudizio innanzi al TAR competente. In caso di accoglimento del ricorso, il giudice ordina alla pubblica amministrazione di porre rimedio “entro un congruo termine”. Da notarsi che l’attività conseguente alla sentenza dovrà in ogni caso avvenire senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie e umane già assegnate in via ordinaria.

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