Tema del mese

SETTEMBRE - La Verna

Il beato Francesco due anni prima della sua morte fece nel ‘‘luogo’’ della Verna una quaresima a onore della beata Vergine Madre di Dio e del beato Michele Arcangelo, dalla festa dell’Assunzione di santa Maria Vergine fino alla festa di san Michele; e scese su di lui la mano del Signore: dopo la visione e le parole del Serafino e l’impressione delle stimmate di Cristo nel suo corpo. [FF, 262, frate Leone]

 

Dopo il capitolo di Pentecoste del 2 giugno 1224, in un momento di difficoltà dell’Ordine e di personale lotta interiore, il Poverello d’Assisi si ritirò sul monte della Verna per celebrare nel digiuno e nella preghiera una quaresima extra-liturgica in onore di san Michele Arcangelo. Una mattina verso la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, mentre era nei boschi in preghiera, vide un Serafino con l’immagine del Crocifisso. La visione gli causò al contempo gioia, perché si sentiva ripieno dell’amore del Cristo, e profondo dolore, per la pena di vedere Gesù crocifisso. Quando poi il Serafino scomparve aveva impressi nel corpo i segni della Passione del Signore: le mani e i piedi confitti con chiodi e il costato trafitto. Era un fatto straordinario mai accaduto nella vita di un santo. Francesco è il primo stigmatizzato di cui si ha notizia nella storia della Chiesa. Il Santo tenne nascosti quei segni fino alla sua morte. Fu il ministro generale frate Elia che, in una lettera circolare a tutto l’Ordine, rese noto il prodigio. L’unico testimone diretto dell’evento soprannaturale fu frate Leone, il compagno più intimo di Francesco, suo confessore e segretario, che lo aveva accompagnato sul monte della Verna. Su una pergamena, donata al suo compagno e conservata oggi come reliquia nella Basilica di Assisi, Francesco, dopo aver ricevuto le stimmate, aveva scritto la “Benedizione a frate Leone” e le “Lodi a Dio Altissimo”. Sulla stessa pergamena, frate Leone menziona la visione del Serafino e la “impressio stigmatum” nel corpo di Francesco.

 

Io Francesco, sono diventato il giullare di dio, ma il mio remoto cavallo, quello che mi è morto a lato, l’ho sempre sognato: era una bestia piena di paura, era il mio corpo. L’ho lasciato morire all’angolo delle strade, e solo allora ho sentito l’ignobile puzzo dei miei vizi, della mia violenza. Sono diventato il vertice della carità perché Dio un giorno immeritatamente si è chinato su di me e mi ha baciato le mani

(Alda Merini)

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