Storie dai conventi

Piccoli miracoli d'amore

mercoledì 10 settembre 2025 di Aurelio Molè
Fr. Bogusław Szczygieł, dalla Polonia in missione a Vasto presso la Casa Sacro Cuore “Oasi dell’Anziano”

Capita sempre più spesso che il Belpaese diventi terra di missione e non è raro, soprattutto nelle città e negli ordini religiosi, di contare su persone provenienti da nazioni forse meno secolarizzate della nostra o da continenti dove il cristianesimo è in espansione e non in contrazione come nella vecchia Europa.

È il caso anche di fr. Bogusław Szczygieł, detto Bogus, 55 anni, originario di Debica, una città polacca della Precarpazia, a 120 chilometri a Est di Cracovia e a 140 chilometri di distanza per raggiungere il confine ucraino a Ovest nella direzione verso Leopoli. La sua è una famiglia, oggi diremmo numerosa, di cinque figli, tre fratelli e due sorelle. La fede è vissuta in maniera ordinaria, semplice, come un fatto naturale dell’esistenza arricchita da riti, devozioni, feste. Dio è nell’orizzonte di senso della vita di Bogus che, a 17 anni, avverte il desiderio di diventare sacerdote e di entrare in seminario. “Una vocazione – commenta fr. Bogus – nata per attrazione, perché conoscevo dei sacerdoti della mia parrocchia molto in gamba”. Un compagno di classe lo invita a partecipare a dei ritiri spirituali tenuti dai frati cappuccini della Provincia di Cracovia. Un giorno, un benedetto giorno, Bogus ascolta la testimonianza di un missionario che racconta la sua storia e la sua vocazione ed è come se si rivolgesse a lui in prima persona. Quelle parole non gli sono indifferenti, risuonano come una campana a festa, come il tesoro trovato in un campo, e penetrano profondamente nell’anima del giovane Bogus che ancora oggi dice: “Non so spiegare ma ho avvertito con chiarezza che fosse la mia strada”. 

Diventare frate cappuccino non è una rinuncia al matrimonio, alla vita, alla realizzazione professionale, ma è come un giovane che si è innamorato. “Dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore”, ci ricorda fr. Bogus. Subito dopo il liceo, entra in seminario per un anno e, data l’esistenza di un gemellaggio tra i frati cappuccini di Cracovia e di Assisi, si traferisce nella città di san Francesco dove continua gli studi di Filosofia e Teologia. 

L’esperienza che sperimenta lo attrae come una forza di gravità e avverte il Poverello di Assisi come una presenza ancora viva, attuale, non ancorata al passato, che risponde alle sfide di oggi e di ogni uomo. “Negli anni del seminario – ricorda fr. Bogus – mi restarono impresse le parole di Gesù rivolte ai Dodici: “Non volete andarvene anche voi?”. E la risposta di Pietro: “Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna”. Una fedeltà a Gesù sentita e autentica che ha portato fr. Bogus ad andare in missione, per un periodo in Africa, e a pensare di trasferirsi in Amazzonia anche se poi è rimasto in Italia ed ora è a Vasto, in provincia di Chieti (in Abruzzo), dove dal 2016 è direttore e Cappellano della Casa Sacro Cuore “Oasi dell’Anziano”, una struttura d’eccellenza destinata all’assistenza di persone avanti con l’età. “Mi sono reso conto – chiosa fr. Bogus – che, dovunque uno sia per svolgere la sua missione, i problemi sono gli stessi. E dove il Signore mi chiama io vado, sia che ci siano cose piccole o cose grandi da fare”.

Fr. Bogus segue i suoi ospiti da vicino: “Occorre vicinanza, prossimità, tenerezza ad ogni incontro, come se fosse l’unico, come se fosse il primo o l’ultimo. Li accompagno, li vado a trovare, li confesso. Quando mi fermo con loro parliamo di tutto, scherziamo, li ascolto. Ognuno di loro è irripetibile e ha bisogno di una attenzione particolare. Sono persone alla fine della vita, malate e non si sa quanto tempo gli rimanga. Hanno vissuto, gioito, sofferto”. E come diceva san Francesco l’incontro con la sofferenza può trasformarsi e “ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo”. Molte le difficoltà superate, come il periodo della pandemia da Covid, in cui l’Oasi venne come “sigillata” e fr. Bogus visse h24 all’interno della struttura senza poter rientrare in convento. Ci dice: “Non è stato eroismo, ma concretezza evangelica fatta di piccoli gesti quotidiani che ti consentono di gestire anche le situazioni di sofferenza più importanti. In quel periodo una signora anziana si è pian piano spenta, ma c’è stato un momento di vicinanza fortissimo. L’ultimo cibo che ha preso è stato Gesù Eucaristia. La ricorderò sempre, nella speranza di essere stato per lei il conforto e la vicinanza che avrebbe voluto (e avuto) dalla sua famiglia. Piccoli miracoli… resi possibili dall’amore”. 

Tratto dal mensile "Frate Indovino", n.9, 2025

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