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Frate Indovino

La posta dell'Anima

Imparare a pregare

09 luglio 2020
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Carissimo padre Raniero,
mi rivolgo a lei perché nelle sue risposte sento intelligenza del cuore e calore umano.
Avevo una bella famiglia, ma per una serie di situazioni sfortunate, da alcuni anni vivo da solo e in questo momento sono completamente isolato. Nell’assenza di rumori del mio piccolo appartamento, nel silenzio assordante di una città che non ho mai sentito come mia e che oggi è come immobilizzata dalla paura del Coronavirus, ho iniziato a interrogarmi più in profondità e ho maturato il desiderio di pregare. Ho provato a farlo, ma, non so come dire, tutto risulta meccanico, freddo, distaccato. Sono confuso e per questo le chiedo: cosa significa pregare veramente? Come posso riuscirci? Con quali intenzioni farlo?
Quali parole utilizzare?
Le confesso che non ho richieste da avanzare a Dio. È amaro dirlo, ma la mia infelicità è senza desideri. Vorrei solo iniziare a scalfire quel macigno di dolore che ogni giorno mi porto dentro.
Un saluto e un abbraccio sincero.

Lettera firmata

Caro lettore, lei dice di aver maturato il “desiderio di pregare”. Bene, sappia che il desiderio di pregare è già preghiera, e della migliore specie! Senta cosa scriveva tanti secoli fa a questo proposito sant’Agostino: «Pregare non significa stare continuamente in ginocchio o a braccia levate. Vi è un’altra preghiera, quella interiore, ed è il tuo desiderio. Se continuo è il tuo desiderio, continua pure è la tua preghiera. Chi desidera Dio e il suo riposo, anche se tace con la lingua, canta e prega con il cuore. Chi non desidera, gridi pure quanto vuole, ma per Dio è come muto». Naturalmente questo desiderio non deve rimanere sterile. Deve concretizzarsi. Ma come? “Cosa significa pregare veramente?”, si chiede lei. Non è facile, anzi del tutto impossibile, rispondere a questa domanda perché la preghiera è come la vita. La preghiera è il respiro dell’anima e ogni persona ha il suo respiro. Però gli esperti – i santi! – ci aiutano almeno ad avere qualche idea su cosa significa pregare. San Giovanni Crisostomo definisce la preghiera “un dialogo con Dio”. Possiamo imparare qualcosa circa la preghiera a partire dalla familiarità moderna con computer e internet. Non appena, nei miei spostamenti di predicazione, io arrivo a una certa destinazione, la prima preoccupazione è di cercare una connessione a internet per ricevere la posta elettronica ed essere in contatto con la mia comunità. Spesso ciò presenta difficoltà e si devono fare diversi tentativi prima di riuscire. Quando finalmente compare la videata liberatoria del nostro motore di ricerca, ci si sente sollevati: si è connessi, l’intero mondo virtuale si apre davanti a te. Questa esperienza mi ha fatto riflettere. Noi possiamo connetterci con un altro mondo, senza fili, senza sforzo, senza spesa. Una breve preghiera, un semplice movimento del cuore e siamo connessi con il mondo di Dio. Un mondo che non è solo virtuale, ma reale.
Personalmente io intendo il “dialogo con Dio” come un dialogo con il Dio fatto uomo, con Cristo. Pregare per me è “fare tutto con Gesù”. Egli ha detto: “Io sono con voi ogni giorno fino alla fine del mondo”. Ogni giorno, significa anche in ogni situazione, specialmente in situazioni di solitudine e di sofferenza come è per tutti questo momento di pandemia, e come mi sembra sia per lei anche per motivi suoi personali. Gesù risorto è vivo. Non è un personaggio del quale si può parlare e scrivere, ma al quale difficilmente si può parlare; è una persona con la quale e alla quale si può parlare. Di tutto! Perfino del proprio dubbio che egli esista e ci ascolti!
Qui arriviamo all’altra sua domanda, quella sul “come” pregare. Il fatto che tutto le sembra “meccanico, freddo, distaccato” è un buon segno. Vuol dire che lo Spirito Santo la sta invitando a qualcosa di più personale e più intimo. Si domanda “quali parole utilizzare”. Ci sono due generi di parole possibili: o parole altrui, o parole proprie. Tutti e due questi tipi di parole sono necessari. Non possiamo fare a meno delle preghiere che la liturgia – in qualche caso Gesù stesso – ci insegna: “Quando pregate dite…”, così Gesù introduce nel Vangelo la preghiera del Padre nostro. Le preghiere comuni, specie quelle liturgiche, hanno il vantaggio di permetterci di pregare con tutta la Chiesa, del passato e del presente. Sono più esposte, è vero, al pericolo della ripetitività meccanica, ma non è un motivo per abbandonarle. Quando, per esempio, diciamo “Padre nostro che sei nei cieli” e non sentiamo muoversi nulla dentro di noi (solo le labbra!), pensiamo alla gioia di Dio di sentirsi chiamare Padre. Un padre terreno saprebbe spiegare meglio di me cosa si prova a sentirsi chiamare papà dal proprio bambino, magari per la prima volta.
Ma è evidente che chi cerca una preghiera meno scontata, non può accontentarsi solo di ripetere preghiere imparate a memoria. Sarebbe come se un innamorato scrivesse alla propria amata delle lettere, tutte e sempre copiate da un prontuario di lettere d’amore… Bisogna imparare a parlare a Dio e a Gesù anche con parole proprie, dei propri sentimenti, dubbi, bisogni. I salmi sono dei modelli insuperabili. In essi l’orante esprime a Dio tutti i propri sentimenti: ora di adorazione e di lode, ora di richiesta di aiuto, ora di lamento. Un suggerimento pratico, specie per chi non ha dimestichezza con la liturgia delle ore: aprire la Bibbia, cercarvi un salmo e recitarlo come fosse scritto da te. Per esempio (nel caso suo), il salmo che comincia con le parole: “Dal profondo a te grido, Signore. Signore accorri in mio aiuto…”. È il famoso “De profundis”, ma esso fu scritto da un vivo e per i vivi, non per i morti. Lei vorrebbe iniziare a “scalfire il macigno di dolore” che c’è nel suo cuore. Sappia che c’è uno solo che può fare il miracolo di cambiare il cuore di pietra in cuore di carne: lo Spirito Santo. Si rivolga a lui e vedrà quanto è più bello vivere senza quel macigno.

Padre Raniero Cantalamessa

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