Per tutti noi, da qualche tempo in qua, l’Ucraina è diventata un problema, e non per una questione di geopolitica e nemmeno per motivi prevalentemente bellici. È un problema innanzitutto psicologico: non sopportiamo più le notizie dal campo di battaglia, perché nella loro contraddittorietà ci danno sempre l’impressione che la guerra non finirà mai. E poi non sopportiamo i ritornelli dei leader politici che danno una sola certezza: quella di non essere capaci di trovare una soluzione altro che guerresca. Inoltre, la guerra acquista sempre più opacità, inizia ad apparirci come qualcosa di indistinto, perdendo ogni connessione con la realtà.
Olena
Eppure, la guerra nel Donbass non è finita, si muore ancora, i lutti proseguono, le sparizioni sul campo di battaglia di tanti giovani e purtroppo all’ordine del giorno. Basterebbe trascorrere qualche ora, che dico, qualche minuto con una madre ucraina che ha perso un figlio in guerra per capire che non possiamo far finta che la guerra sia finita, e che non possiamo più negare che la guerra nella nostra Europa sia vera. Ad esempio, Olena Maksymenko: “Mio figlio e morto nella Prima guerra del Donbass, nel 2016, a Mariupol. Per un anno ho vissuto come in uno stato di sospensione, senza la forza di reagire, come inebetita. Dal 2017 ho incontrato Lyudmyla, che aveva avviato un’azione per il sostegno delle madri di soldati morti in guerra. Mi ha spinta ad interessarmi alle altre madri, a non morire dietro e dentro il mio dolore. Nella mia regione sono molte le donne che, ancora adesso, perso il figlio vorrebbero solo chiudere gli occhi per sempre, anche ammazzandosi. Oggi cerco di organizzare per queste madri piccole gioie della vita: passare dal parrucchiere, o da un prete, o dal medico, o ancora in un centro per le terapie dell’artrosi, cosi da sentirsi “curate”. Ecco, il segreto della nostra azione e la cura. Importantissimo e il sostegno psicologico alle madri, e mettere in moto la loro capacita di reazione≫. Lo sguardo di Olena e luminoso come pochi, nonostante le tragedie che ogni giorno si trova ad affrontare. Non e una luce che viene dall’esperienza elettrizzante che le donne ucraine legate all’operazione “Madri di Casa Padre Pio” stanno vivendo qui in Italia: il mare che tante di loro non hanno mai visto; i cieli che appaiono loro come luoghi riserva- ti agli aerei civili che portano gente da qua a la, e non spazi da cui proviene l’orrore e il terrore dei bombardamenti; le notti che finalmente sono di vero riposo senza il timore di dover correre nei rifugi per via degli allarmi aerei… No, la luce negli occhi di Olena viene dalla sua continua opera di ascolto e di sostegno ad altre madri che hanno vissuto i suoi stessi dolori, dalla sua instancabile attivita di aiuto a chi sta peggio di lei.
Lyudmyla
E una donna con un carattere d’acciaio Lyudmyla Bohdashevska. Gia impegnata nel sociale, in particolare nell’aiuto alle famiglie di militari segnate dalla guerra sia con lutti e ferimenti, sia nelle difficolta economiche e psicologiche dell’impegno dei loro uomini al fronte, ha dato “fuoco alle polveri” al progetto delle “Madri di Casa Padre Pio” che, come si legge a pagina 3, risale ai primi mesi della guerra, quando i frati cappuccini della provincia dell’Immacolata Concezione (Umbria, Lazio e Abruzzo) – attraverso la loro Fondazione Assisi Missio – offrirono ai confratelli dell’Ucraina e della Polonia la loro disponibilita ad aiutarli per una qualche opera di assistenza in favore delle popolazioni colpite dal conflitto, ovviamente nel quadro del cattolicesimo, ma non solo. Anzi, la dimensione ecumenica era dall’inizio evocata come possibile e importante. Ci si e messi attorno a un tavolo e, senza interrompere neanche per un istante quello che gia veniva fatto per sostenere le popolazioni logorate dalla guerra, si e rapidamente elaborato un progetto che avrebbe permesso di dare assistenza di diversa natura alle madri dei soldati uccisi nella guerra del Donbass.
Sophia
E il caso di Sophia Rivne, proveniente dall’Ovest del Paese, che per un anno era rimasta sotto l’angoscia della perdita del figlio, senza riuscire a riprendere una vita normale, come immobilizzata nel corpo e nella mente dallo strazio del lutto. La morte del figlio sembrava a Sophia che fosse anche la sua morte personale. Fu in quel momento che si stabili un contatto casuale con le madri della “Casa Padre Pio”, attraverso un frate e una donna che aveva avuto la pazienza di ascoltare il suo dramma. D’improvviso, Sophia aveva capito che avrebbe potuto continuare a vivere. Ricevette qualche aiuto medico e un semplice supporto psicologico, la vicinanza spirituale di un frate, e si ritrovo nelle condizioni di elaborare il lutto. ≪Ma quel che e riuscito a tirarmi fuori dal buco in cui ero caduta – mi spiega Sophia – e stato il fatto che mi hanno proposto di aiutare in prima persona altre madri che avevano avuto lutti e disastri analoghi ai miei. Alzare il mio sguardo dalle piaghe che mi angustiavano la mente e l’anima per rivolgerlo a chi stava come me o peggio di me e stata la chiave di volta, la soluzione≫. Non solo, ma mettersi cosi in donazione, ha permesso a Sophia di affrontare e sopportare in qualche modo anche altri dolori come la morte del genero e la partenza per il fronte di suo nipote.
L’abbraccio di Frate Indovino
Vedere quaranta di queste mamme nella sede di Frate Indovino a Perugia, ben allineate sulle loro sedie, in attesa di scendere a Roma per abbracciare niente meno che papa Leone XIV, e davvero toccante. Sono qui per dire grazie alla famiglia cappuccina che – attraverso la Fondazione Assisi Missio e col contributo dei lettori di Frate Indovino – ha permesso la realizzazione dell’operazione “Madri di Casa Padre Pio”, nella quale sono state coinvolte e assistite fino ad ora piu di 500 donne. Nel corso dell’incontro, le quaranta donne ucraine hanno potuto abbracciare il vescovo di Perugia, mons. Ivan Maffeis, il Provinciale cappuccino, fr. Simone Calvarese, fr. Carlo Maria Chistolini, che per tre volte, assieme al nostro direttore Paolo Friso, aveva gia incontrato le nostre mamme proprio nella “Casa Padre Pio” a Kyiv, il direttore della Caritas di Perugia, don Marco Briziarelli, e tutti i lavoratori di Frate Indovino, condividendo la loro gioia e la loro riconoscenza. Tanti i momenti emotivamente coinvolgenti, molte le lacrime. Una collega della redazione di Frate Indovino ha cosi espresso tutta la sua commozione al termine dell’evento: ≪Per me l’Ucraina era uno schermo televisivo, era un nome lontano. Oggi e una madre che ha il volto di queste straordinarie donne che ho visto e conosciuto nei nostri uffici≫.
Tratto dal mensile "Frate Indovino", n.10, 2025