Spiritualità

Faccia da schiaffi

lunedì 16 giugno 2025 di fra Andrea Gatto
Diventeremo droni o resteremo umani?

«Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra» (Mt 5,39). Quel sonoro ma io vi dico annuncia sempre una logica nuova, inattingibile allo zombie del nostro ego antipasquale. La logica del mondo è quella dell’avete inteso, perché da che mondo è mondo (da sempre?) l’uomo divora l’uomo. La nostra storia è stata ed è una cronologia di violenza fratricida. Nel conflitto tra Iran e Israele questo è molto chiaro: una scacchiera armata da anni alle spese dei popoli, i cui “capi” intendono de-capi-tarsi.

Faccia da schiaffi. Quest’espressione della lingua italiana indica il viso di una persona che, per la sua sfrontatezza o per la sua ingenuità fasulla, chiama su di sé un istinto di violenti sberle. La mano vibra, non so che cosa la sta frenando, ma sento i nervi dell’avambraccio pronti alla fionda.

Perché Gesù nel vangelo offre a esempio di gesto manesco lo schiaffo al volto di un altro? Schiaffeggiare, in greco, contiene la radice della parola bastone: come se le nostre mani – create per accogliere o toccare con amore (accarezzare viene da caritas, ti dico con un gesto che mi sei carus) – ecco, come se le nostre mani si camuffassero da bastoni. Gesù, attento al volto di ogni persona come suo Padre, sa che il volto è – per citare e celebrare il pensiero del grande filosofo ebraico Emmanuel Lévinas – l’epifania della persona. L’altro non è uguale a me (come la retorica dell’egualitarismo fa credere) ma viene da una storia che ha una grammatica per me sempre nuova, viene da “oltre il mio mondo” e da un’altezza etica che per Lévinas è un vero e proprio comando. C’è un comandamento nell’epifania del volto dell’altro, addirittura come se un padrone mi stesse parlando. Forse siamo un po’ allergici a sentir ragione di comandi e comandamenti, ma per un ebreo questo è pane quotidiano.

Quella parola nuova che Gesù offre ai suoi nel discorso sul monte è un altro comandamento, che scardina la logica dell’occhio per occhio e rivela il “carattere” del volto dell’uomo. Il carattere, una traccia invisibile eppure esposta alla mano di un altro. «Il volto – dice Lévinas – è ciò che non si può uccidere, o almeno ciò il cui senso consiste nel dire “tu non ucciderai”». Silvano Petrosino, uno dei più acuti lettori del filosofo franco-lituano, ne fa un commento riflettendo sui racconti di guerra: tutti testimoniano che è difficile uccidere un uomo che ci guarda in viso o negli occhi. Mi viene da pensare a La guerra di Piero di De Andrè (1966), che racconta proprio l’incontro di due volti su un campo di battaglia:

mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora,
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.
"E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire,
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi d'un uomo che muore".
E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede, ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
 

Il nemico di Piero si volta, ma non si dà il tempo di guardare Piero negli occhi, ha paura e lo uccide prima che Piero possa rispondere. Piero sapeva che doveva agire prima che l’altro si voltasse. È la logica della guerra attuale. Perché i droni? Perché i droni non si fermano davanti a un volto. I droni hanno target, rilevano obiettivi su una mappa, punti anonimi da abbattere. Persino nelle migliori intenzioni parliamo di target. Pensate alle operazioni di marketing: siamo target, perché siamo consumatori, cioè bersagli di un interesse economico (ma questa è un’altra storia).

Mentre un drone rileva target, Cristo rivela un volto. Il volto che espone anche l’altra guancia al mio bastone (la mia mano “alterata”) non è una dichiarazione di resa disonorevole, ma è la resistenza dei miti. Ed è la specifica resistenza di chi non ha resistenza, e appare nel suo volto più indifeso. La stessa condizione umana all’estremo della fragilità, nelle figure bibliche del povero, della vedova, dello straniero. 

Ti porgo l’altra guancia, perché solo una delle due non è il mio volto, ma solo un profilo. Io voglio, porgendoti l’altra guancia, darti tutto il mio volto, perché tu ti accorga che è la mia persona che si dà a te in questo viso, intero e indifeso. Ma io so anche che questo mio volto ti interroga, perché è una novità nel tuo paesaggio umano. Il mio volto è nudo come il tuo, eppure è così nuovo. Forse ne hai paura. Capisco. Perché potrebbe balenarti, come balena a me, il pensiero che la tua regalità, quella che ti ha incoronato re del tuo piccolo mondo, sarà spodestata da me, come quando a un primogenito nasce un fratello e chiede alla sua mamma: ma come, non ti bastavo io?

Quali sono le parole che, in filigrana, Gesù detta alla coscienza del cristiano, questo non possiamo dirlo noi al posto di nessun altro.

La famiglia di Lévinas fu sterminata dai nazisti e lui stesso era stato fatto prigioniero politico. La moglie e la figlia si erano salvate nascoste in un convento cattolico. La domanda del suo tormento era stata: perché i cristiani non hanno opposto resistenza a Hitler? Questa domanda la dobbiamo lasciare aperta sempre. E fa eco al mio cuore oggi, il giorno in cui i frati cappuccini celebrano il ricordo di fra Aniceto Koplinski, che morì nel campo di sterminio di Auschwitz insieme ad altri 4 fratelli e che Giovanni Paolo II ha annoverato tra i centoquattro beati martiri polacchi della seconda guerra mondiale. Fra Aniceto è stato gettato in una fossa comune, uguale tra uguali, e cosparso di calce viva. La calce viva ustiona e cancella i corpi e i volti.

Ma il volto non si può uccidere. Il volto è il manifesto non scritto della nostra umanità. Nelle fotografie, nei video, nella nostra memoria storica è il volto che cerchiamo di ricordare, che speriamo di riconoscere. Quella “faccia da schiaffi” che desideriamo richiamare con un nome di persona, e che non è un numero marchiato su un braccio, ma una persona tatuata nella mano di Dio.

Proprio quello sguardo, ci insegna Lévinas, coinvolge tutta la nostra stessa umanità. Mi rende responsabile. «Mi chiede e mi ordina». E implica che io debba sentirmi responsabile anche della sua responsabilità verso gli altri: ho l’obbligo di vigilare sui suoi rapporti con gli altri, indipendentemente che egli sia responsabile di me. Carità nella verità, avrebbe detto un grande papa tedesco.

Lo scrittore Alessandro D’Avenia, nel capitolo introduttivo di Ogni storia è una storia d’amore scrive: «L’uomo è tale perché ha il viso volto verso il firmamento, il suo è appunto un “volto” (ri-volto all’orizzonte o al cielo), non un muso. L’uomo è diverso dagli animali perché, potendo fissare il cielo e le stelle, è capace di destino e di destinazione. Il volto è la causa di ogni nostra ricerca: “A che tante facelle?”, “Ed io che sono?”, “Ove tende questo vagar mio breve?” si chiede il pastore errante di Leopardi interrogando il firmamento. Tutto dipende dallo sguardo e da ciò che lo attrae: noi diventiamo ciò che guardiamo, noi diventiamo ciò che ci ri-guarda. I nostri telefoni spesso ci costringono al basso, a inarcare la schiena, ci fanno scordare di intercettare in orizzontale il volto altrui, in verticale la volta celeste. E chi non guarda i volti e la volta del cielo rimane imprigionato in una condizione pre-umana, perché solo nel volto dell’altro si scopre la propria essenza umana, solo nella volta del cielo si scopre la propria essenza divina».

Nella preghiera di colletta della messa Per la pace e la giustizia, preghiamo così:

O Dio,
che con paterna bontà ti prendi cura di tutti,
fa’ che gli uomini,
che hanno da te un’unica origine,
formino una sola famiglia
e con animo fraterno vivano uniti nella pace.

Nell’affresco della Spogliazione (Basilica Superiore di S. Francesco, Assisi), ci sono molte mani e molti volti, e ognuno dice un intento. Tra queste mani c’è la mano di Angelo (o di Pica, a seconda che riconosciamo in quel personaggio il fratello o la madre di Francesco), che trattiene il pugno di Pietro di Bernardone, teso già a quella faccia da schiaffi del figlio. Altro che paterna bontà. Ma se qualcosa si muove nella coscienza del cristiano, forse, è quella mano che contiene il morso bruto dell’io solo e cattivo e orienta lo sguardo al vero Padre, dal quale è la nostra unica origine, e nella cui casa ci sono molte dimore (Gv 14,2), spazio largo e pacifico in cui ogni volto è carus, amato e difeso, non dimenticato.

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