Cantico delle Creature

Farsi Cantico

mercoledì 23 luglio 2025
Creature e Creato nei Calendari dei Missionari Cappuccini

Nel cuore del 2025, il mondo cristiano celebra un anniversario straordinario: gli ottocento anni del Cantico delle Creature, la sublime preghiera poetica di san Francesco d’Assisi che continua a risuonare come un inno universale alla bellezza del creato e alla dignità degli ultimi. In questo spirito, i Missionari Cappuccini di Milano offrono una testimonianza visiva e spirituale attraverso una raccolta di calendari che, anno dopo anno, raccontano il volto umano e naturale delle loro missioni.

Il progetto, che si snoda attraverso fotografie, riflessioni e grafica, è molto più di una semplice pubblicazione: è un “cantico” moderno, un intreccio di voci che si fanno preghiera, denuncia, speranza. Come ricorda Papa Francesco nella Laudato si’, “non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani”. È proprio questa visione integrale che anima il lavoro dei missionari: una cura che abbraccia tanto la terra quanto i suoi abitanti più fragili.

Abbiamo chiesto ad Alberto Cipelli, l’ideatore della raccolta: "Qual è stata la scintilla iniziale che ti ha spinto a immaginare il calendario non solo come strumento informativo, ma come racconto visivo e spirituale capace di 'farsi cantico'? E come hai visto evolversi questo progetto nel tempo?"

"La funzione principale di un calendario è quella di fornire informazioni sui giorni e sull'anno. Tuttavia, presentare un tema diverso che guida ogni anno permette, attraverso uno strumento di diffusione, di poter passare delle idee e dei messaggi al pubblico degli interlocutori. Spesso, tuttavia, il calendario non è fruito come un prodotto con una propria identità e il "rischio" di vedere un solo mese per volta non aiuta a cogliere il progetto nella sua interezza. Era da un po’ che ci pensavo e devo dire che la mia proposta è stata accolta con entusiasmo dai frati e per questo li ringrazio. Togliere dal calendario con la sua annualità permette di dare maggiore importanza ai suoi contenuti. Credo che le persone, sedute comodamente, abbiano maggior possibilità di riflettere, leggere e godere delle foto e dei temi trattati. Sono piccoli percorsi, ciascuno di 12 foto con una introduzione che le lega e ne suggerisce il senso. Ogni anno è un tema missionario diverso di approfondimento. Così è diventato un libro con temi, citazioni e foto molto diverse ma tutto unificato sotto il grande tema della missionarietà cappuccina e tutto unito, in questo anno in particolare, al tema del cantico francescano. Una lode al creato nelle sue bellezze naturali ma anche alle creature. Come si dice bene nella citazione iniziale dalla Laudato sì, Papa Francesco ha sottolineato più volte che la cura della terra deve camminare insieme alla cura dei poveri, i due problemi non sono slegati ma facce di una stessa medaglia. Ecco perché mi è sembrato giusto parlare di un cantico, di lode e di speranza, che accomuna tutti all'insegna della missionarietà."

I calendari dei Cappuccini di Milano non sono semplici strumenti di comunicazione, ma veri e propri atti di testimonianza. Ogni anno, un tema diverso guida la narrazione: dalla denuncia alla consapevolezza, dalla riflessione all’emozione. Eppure, in ogni edizione, resta costante il desiderio di non perdere la bellezza e la speranza che abitano anche nei luoghi più difficili del mondo. Le immagini di Elena Bellini, delicate e potenti, unite alle parole e alla grafica di Anna Mauri, compongono un telaio missionario che si fa voce per chi non ne ha.

Alla fotografa Elena Bellini abbiamo fatto queste domande:

-Nei tuoi scatti traspare una profonda empatia verso i soggetti ritratti. Come riesci a instaurare quel legame umano che permette di cogliere tanta autenticità nei volti e nei gesti?

"Stay Human" diceva Vittorio Arrigoni, penso che la chiave sia essere umani... Tornare ad essere umani, entrare in punta di piedi in un mondo diverso dal nostro, aprirsi alle diversità senza giudicarle, parlare con la profondità degli occhi quando la lingua non riesce, porsi in accoglienza e non in chiusura. L’atteggiamento che cerco di avere è questo. Quando arrivo con la mia macchina fotografica a volte il sentimento che leggo nei volti è la paura. Paura verso una persona sconosciuta, con vestiti diversi, scarpe, zaino; è normale, sta a me cercare di fare capire che io sono uguale a loro, ho le loro stesse paure, ma col dialogo “verbale” o no, “costruisco un ponte”, unendo il mio sorriso al loro, riesco a creare quel filo magico che mi permette di avere accesso a quella parte più vulnerabile e nascosta delle persone.

-C'è una fotografia, tra quelle realizzate per i calendari, che ti ha particolarmente toccata o cambiata nel modo di vedere il mondo? Se sì, puoi raccontarci la storia dietro quello scatto?

Ricordo un viaggio in Mali, il primo di tre (un paese in cui ho lasciato il cuore), il mio primo viaggio in Africa. Arrivata in un villaggio ai confini con il deserto, i bambini ci sono corsi incontro, curiosi e urlanti: chi ci prendeva per mano, chi ci toccava i vestiti, chi chiedeva caramelle. Con la coda dell’occhio vedo un bambino in disparte, con le manine a coprirsi la bocca. Mi guardava… Timido, introverso, piccolissimo. Mi stacco dalla folla dei bambini e vado verso di lui. Ha occhi profondi, come un pozzo senza fine. Gli scatto qualche foto, poi lui prende la mia mano e la stringe forte, fortissimo (ancora adesso, a pensarci, mi si velano gli occhi e sale un nodo alla gola). Con dolcezza, porta la mia mano vicino al viso e se la accarezza. E mi guarda. Nei suoi occhi, all’improvviso, il pozzo scompare. Lo guardo intensamente, stringo anch’io la sua mano, e in quegli occhi mi vedo riflessa. Avrei voluto portarlo via da lì. Portarlo con me. In quell’esatto momento ho capito che sarei tornata, ancora e ancora, in questo grande Paese. Che, in qualche modo, avrei fatto qualcosa per queste popolazioni. Anche solo un piccolo gesto. 

-Come vivi il rapporto tra fotografia e spiritualità? In che modo il tuo lavoro si intreccia con il messaggio francescano di lode al creato e vicinanza agli ultimi?

Per me, la spiritualità è ascolto, presenza, connessione. È quando smetto di fare e semplicemente sono, immersa nel momento. La vivo profondamente nel mio lavoro, soprattutto durante le missioni: quando attraverso lo sguardo di una persona, ne colgo l’essenza, la storia, l’umanità. Ogni volta entro in punta di piedi nella vita degli altri, con rispetto, empatia e cuore aperto. È lì che sento davvero la spiritualità — in quel filo invisibile che unisce. Condivido profondamente il messaggio di san Francesco e i suoi princìpi: la semplicità, l’umiltà, l’amore per ogni essere vivente, l’attenzione ai più fragili. Sono valori che mi guidano nel mio modo di stare nel mondo e di fotografarlo. Perché per me, la spiritualità è relazione. Con ciò che fotografo. Con chi incontro. Con la vita, in tutte le sue forme. È il momento in cui mi sento parte di qualcosa di più grande, anche solo per uno scatto.

“Farsi cantico” diventa allora una chiamata: a guardare, ascoltare, condividere. A lasciarsi toccare dalla dignità di ogni creatura, anche quando è segnata dalla povertà o dalla sofferenza. È un invito a superare indifferenza e pregiudizi, ad aprire il cuore con generosità, a riconoscere che ogni essere umano è immagine di Dio e che nessuna creatura è superflua.

Papa Francesco, rivolgendosi ai frati cappuccini, ha ricordato il loro ruolo come “segno per tutta la Comunità chiamata ad essere nel suo insieme missionaria e 'in uscita'”, soprattutto in tempi segnati da conflitti e chiusure. I calendari, in questo senso, diventano uno strumento di pace, giustizia e fratellanza universale.

Sfogliarli significa avvicinarsi a volti, storie, paesaggi. Significa lasciarsi interrogare, emozionare, coinvolgere. E forse, come suggerisce Cipelli, provare a essere un po’ più consapevoli, un po’ più attenti, un po’ più solidali. Perché questo mondo che Dio ci ha donato non è soltanto nostro, ma di tutte le creature che lo abitano.

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