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Frate Indovino

Voce Serafica Assisi

Padre Arsenio Sampalmieri da Rivodutri

24 marzo 2021
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Frate benefattore e missionario in Amazzonia

Quando, a ottobre del 2011, varcammo la porta del convento dei Cappuccini a Spoleto per iniziare il Postulato, cioè il primo tempo vissuto dai candidati alla vita religiosa per verificare meglio la loro vocazione, ci si presentò, tra gli altri membri della comunità, un insolito frate, alto, con i capelli ed il pizzetto “sale e pepe”, dal volto apparentemente scuro e dallo sguardo un po’ arcigno, forse per quel suo occhio opaco, causato da un intervento chirurgico subito negli anni ’60. Sembrava un pesce fuor d’acqua rispetto alla vita quotidiana fatta di regole precise, che ci aiutavano ad interiorizzare la vita cappuccina. Eppure nel convento di Spoleto ci stava da ben venti anni e ne era stato più volte superiore! P. Arsenio Sampalmieri da Rivodutri (RI) (1936-2015), questo era il suo nome da religioso, ci appariva, dunque, come un frate un po’ fuori le righe, ma, benché non lo sapessimo, era un vero e proprio benefattore dell’umanità ed un martire, che aveva riportato a casa miracolosamente la pelle. Egli, infatti, dal 1961 era partito per la missione, giungendo nell’Amazzonia. Dopo alcuni anni di servizio gli fu affidato un incarico che avrebbe cambiato la sua vita: l’apostolato tra gli Indios Tikunas, uno dei più numerosi gruppi etnici della foresta amazzonica. Tutto questo, però, lo scoprimmo dal racconto di altri. P. Arsenio, a differenza di molti confratelli missionari, non amava parlare degli anni trascorsi in missione. Eppure per gli Indios aveva dato la vita! Si era fatto uno di loro, vivendo in una capanna, imparandone la lingua, adottandone usi e costumi. E annunciando loro il Vangelo. I Tikunas volevano bene a P. Arsenio, lo consideravano uno di loro ed un mediatore tra il mondo occidentale e la loro cultura, che egli rispettava e, all’occorrenza, difendeva. Era diventato anch’egli così indio da poter realizzare una grammatica della lingua tikuna, la prima sicuramente, anche se rimasta manoscritta. E per gli Indios avrebbe dato la vita, supremo atto di amore a Dio per questi suoi figli, poiché subì un attentato da parte di alcuni malviventi che non vedevano di buon occhio il suo servizio missionario. E fu così che P. Arsenio tornò per sempre in Italia. A noi, dei suoi anni di missione, con molta umiltà e con un fare un po’ “dissacratorio” per aiutarci a crescere (anche se proprio bambini non eravamo anagraficamente) ci diceva che metteva il saio solo per la festa di San Francesco e che, quando dovette ritornare in Italia, si fece per benino la chierica, ma atterrato in Patria si accorse che, ormai, non era più in uso tra i frati. Con il passare dei mesi, piano piano, P. Arsenio si affezionava ai Postulanti e, nell’orto, la cui passione condivideva con il nostro Maestro, ci insegnava tante cose pratiche, soprattutto per noi cittadini, ma, soprattutto, ci insegnava, a suo modo, a vivere la vita cappuccina. Per ironizzare e prendersi in giro raccontava alla signorina Ottavia, che aiutava in convento e lo rimproverava di non lavarsi mai i piedi prima di andare a letto, che San Giuseppe da Leonessa si puliva i pedi con la scopa solo quando, ormai malato, gli portavano la S. Comunione nella sua celletta. E se così aveva fatto un santo, anche il suo modo di fare era giustificato. Con il passare del tempo P. Arsenio si fece anche nostro complice, consentendoci di uscire per accompagnarlo a dire la Messa dalle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto, a casa madre. Di solito si andava in due con lui. Dopo la Messa ci si fermava in sacrestia a prendere il té e i biscotti che Suor Elsa ci aveva preparato con tanta premura. E così P. Arsenio faceva contenti sia noi che lei. Una volta, era la quarta Domenica di Pasqua, la domenica del Buon Pastore, nell’omelia parlò alle suore della Madonna, che noi Cappuccini veneriamo con il titolo di Divina Pastora o Madre del Buon Pastore e che è la patrona delle nostre Missioni. A casa madre c’erano tante suore anziane, spesso ammalate. A queste sorelle, che avevano servito per una vita i poveri, P. Arsenio disse che anche loro non solo erano state “divine pastore”, ma che lo erano ancora oggi. E tutte furono tanto contente di questo paragone, che ne elogiava il servizio e che le faceva sentire ancora utili. Quando in convento raccontammo il successo dell’omelia P. Arsenio se la rideva sotto i baffi. Lasciato il convento di Spoleto, P. Arsenio, con discrezione, ci ha seguito a distanza, mentre continuavamo il cammino formativo, dimostrandoci che ci voleva veramente bene. E così ci aveva insegnato anche lui ad essere bravi, speriamo, frati.

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