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Paolo Crepet

18 settembre 2023
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Dal Mensile di Frate Indovino - Settembre 2023

Intervista allo psichiatra italiano più seguito e amato.
L’ammirazione per san Francesco: “Un modello per i giovani”
a cura di Anna Langone 

I sogni ci fanno vivere. Ma l’umanità non impara dai propri errori


Tre lauree, tantissimi libri di successo, una notorietà che non hanno i suoi colleghi, perché non è soltanto il suo volto, occhi chiari e voce ammaliante, a bucare lo schermo, ma soprattutto i concetti, gli insegnamenti espressi in modo semplice per arrivare a tutti e per non mandarle a dire a nessuno.
Paolo Crepet, dottore in Medicina e Chirurgia, sociologo, psichiatra con specializzazioni conseguite nelle Università di mezzo mondo, è fra gli ospiti più attesi del Festival Francescano che si svolge a Bologna dal 21 al 24 settembre. Parlerà di sogni Crepet, al grido di Prendetevi la luna (Mondadori), il titolo del suo ultimo, appassionato saggio. Perché la felicità, con l’amicizia, l’amore, la fragilità, la famiglia è fra i temi dei quali più si occupa Crepet, sferzando l’incapacità di uomini e donne di imparare dai propri errori, di accettarsi, di essere genitori “capitani” e non soltanto persone che ai figli non fanno mancare nulla. “Se aiutate i vostri figli – dice lo psichiatra nelle sue affollate conferenze e nei talk TV – non li amate. Ai ragazzi dovete far mancare qualcosa, altrimenti come coltivano la curiosità, le passioni?”. E lui ha cominciato prestissimo a nutrirsi di immaginazione, di creatività, cresciuto a Padova respirando la bellezza dell’arte, con il nonno paterno Angelo Maria, pittore e amico di Amedeo Modigliani ed il nonno materno ceramista. Non è un caso che Crepet sia convinto che la psichiatria abbia più legami con l’arte che con altro e che essa stessa sia un’arte, quella di rimuovere gli ostacoli alla felicità, la dimensione cui l’essere umano tende per tutta la vita. E la luna, in questo, c’entra moltissimo.

Professore, la luna è da sempre la casa dei sogni, celebrata da cantanti e poeti, ma proprio tutti hanno diritto alla luna? In altre parole: come superare i luoghi comuni della nostra società giovanilistica che rende desideri e progetti un quasi-monopolio dei più giovani?

La luna è molto democratica… compare e scompare per tutti ed è la cosa più giusta e più sensata. Dopo di che, qualcuno ce l’ha e non sa che farsene; anche gli orizzonti ci sono per tutti, ma alcuni decidono di viverli da casa.

Possiamo dire che i sogni siano il combustibile più formidabile che abbiamo?

Certo, ed è pure ecologico!

Nel suo lavoro si occupa spesso di felicità, ma l’essere umano, che vive cercandola in continuazione, in realtà ne ha paura, non è educato ad essere felice e quando raggiunge questo stato di grazia fugge, è spaesato. E allora, c’è un modo di costruirsi la felicità che non sia l’accontentarsi? E la felicità è serenità?

La serenità è una felicità molto degradata! La felicità è una cosa nobile, ma questo non ha nulla a che fare con i privilegi. Per fortuna i sogni non costano, ma moralmente hanno un prezzo.

Lei parla della vulnerabilità come un elemento di forza nel quale credere, ma anche qui non veniamo educati ad accettarci deboli e la pandemia purtroppo non sembra esserci servita da allenamento…

Dobbiamo capirci: la ragazza che piange davanti a un ministro va benissimo, come il ministro che risponde piangendo anche lui, ma il pianto non ha carta d’identità, è trasversale per ragazzi, signore, uomini, donne. Dovremmo elogiare la fragilità perché è interessante, soprattutto se significa smettere di avere un ruolo importante. Altrimenti ciascuno avrebbe un prezzo.

La passione, le passioni sono mattoni per costruire il futuro, leve insostituibili per farci alzare la mattina con un obiettivo, a breve o a lungo termine. Chi non ha questa spinta endogena, questa tensione, può fabbricarsela?


La spinta non ci è venuta dalle Tavole, se Mosè avesse creato una buona umanità si sarebbe visto. Lui ha trascritto i Comandamenti, qualcuno li ha appuntati ma poi... Se siamo pieni di guerre, di malversazioni, Mosè forse ha scritto un tweet. Il problema è che l’umanità non è pedagogica, non andiamo avanti per lezioni apprese e svolte. Laddove c’è stato il marxismo ha prodotto nazismo, un partito neonazista che oggi sta democraticamente svolgendo il suo ruolo. “Il dolore ci insegna”, ma chi l’ha detto? “Non toccheremo più una donna”, quanti lo pensano? Ma i femminicidi non diminuiscono, anzi. È una cosa forse illogica, ma non apprendiamo: noi ci adattiamo alle nuove realtà, soprattutto a quelle che ci fanno più comodo. La pandemia poteva essere una grande occasione pedagogica, ma non lo è stata. Su tutto: avremmo dovuto capire che l’assistenza sanitaria gratuita non è soltanto un buon auspicio, ma è buona anche sul piano economico, non è accaduto neanche questo.

Scrivere, dice, è per lei una tribolazione, un Golgota, ma qualcosa da vivere. Nel suo libro La fragilità del bene invita i lettori a leggere le vite dei personaggi che ammirano per trovarvi un dolore, una tragedia, un cambiamento inatteso che rompe la normalità: il suo cambiamento da lockdown e pandemia c’è stato?

La scrittura la porto con me, si è evoluta con me. Mi ha dato speranze, timori, è il nuovo viaggio della mia vita. L’approccio a quella malattia che è la scrittura è una cosa che mi accompagna. Mi ha insegnato anche verità molto toccanti, mi ha avvicinato alla morte per l’ennesima volta, ma anche altro… Se la pandemia mi ha cambiato? Mi manca un mondo lento.

Ha parlato da subito dell’intelligenza artificiale e dei suoi rischi. Di certo non ne avevamo bisogno perché qualsiasi essere pensante ne comprende l’inutilità, però AI esiste e, per motivi di business, c’è anche la corsa alla normalizzazione: è ormai dappertutto, persino nei frigoriferi. Ma come potrà mai essere una presenza buona se non riusciamo a dominarla, a comprenderla?

La normalizzazione è il miraggio che l’uomo ha ciclicamente. L’abbiamo fatto a suon di eserciti, ideologie, fucilazioni, c’è sempre stato qualcuno che ha voluto normalizzare suo fratello. AI è il parto della nevrosi, la parte peggiore dell’umanità che pensa di sostituire l’umanità. Come difendersi?

Ognuno fa quello che può, diventerà intelligente ed avanguardistico andare nel paesello, per fare cose diverse, bagnarsi di felicità, scoprire la fatica per ottenere ciò che ora diamo per scontato.

C’è in gioco però il controllo della nostra vita, non si può restare a guardare…

Invece, non bisogna fare nulla. Funziona come una patologia: quando arriva un batterio si formano degli anticorpi, pensiamo a cosa è stato il cinema italiano dopo la Seconda guerra mondiale, i migliori film sono nati da lì.

Quest’anno è fra gli ospiti del Festival Francescano: si sente vicino alla figura di san Francesco? Un santo così scapigliato può essere ancora un modello di vita?

L’ho sempre ammirato, ma resto un laico. San Francesco è di sicuro uno straordinario esempio per le nuove generazioni: ha dimostrato con la sua vita che si può nascere ricchi e rinunciare ad esserlo e questo può dare grande gioia

Lei è telegenico, riesce a far arrivare a tutti, con un linguaggio semplice, concetti complessi, verità scomode. La consapevolezza di ciò che si è, di quanto si vale, è determinante nella vita? E può influire negativamente non averla?

Il mio linguaggio comunicativo è anche il frutto della frequentazione di trasmissioni televisive da 25-30 anni. È stato un esercizio utile. Con le consapevolezze bisogna però andarci piano, perché una parte di inconsapevolezza è importante: non avere consapevolezza dà la possibilità di non essere retorici, regala la capacità di avere leggerezza nelle cose che si dicono.

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