Una eredità sociale che si lascia al mondo per far sì che diventi un luogo migliore
Continuare a fare del bene dopo di noi
Nell’affrontare un argomento come il lascito solidale non si può tralasciare di fare riferimento ai concetti di dono e di solidarietà.
Oggi l’isolamento e l’incapacità di un dialogo costruttivo sono tra i titoli principali dei TG, sia negli ambiti politico-economici (le guerre) che in quello delle relazioni umane (la violenza, l’aggressività, l’ingiustizia).
La nostra società pare dirigersi sempre più verso l’accumulo di beni e interessi egoistici. Basta questa semplice osservazione per riconoscere la necessità di una educazione all’impegno sia etico che sociale a favore di altri.
Secondo una lettura psicologica, il dono e la solidarietà sono azioni dettate da sentimenti di altruismo e soprattutto da una logica anti-utilitaria, caratteristiche assolutamente in contrasto con un sistema economico fondato sulla ricerca del profitto. Inoltre, il dono e la solidarietà non presuppongono alcuna garanzia per chi li agisce, e per questo sono da includere tra i gesti che maggiormente rappresentano la fiducia incondizionata nel prossimo.
Il senso del dono
Tra le tante celebrazioni che abbiamo a cuore di segnalare ai nostri lettori vi è anche il Giorno del Dono, che per l’Italia è una legge della Repubblica.
Istituito nel 2015 e promosso dall’Istituto Italiano Donazioni, si celebra il 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi, già giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra culture e religioni diverse.
L’art.1 della legge recita: “La Giornata intende offrire ai cittadini l’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza del contributo che le scelte e le attività donative possono recare alla crescita della società italiana”.
Qual è dunque il significato di dono e come questo può contribuire all’evoluzione della società? Forse la risposta sta nel fatto che il donatore non dona per ottenere qualcosa in cambio, ma per creare benessere per qualcuno, sia esso un individuo o un gruppo sociale.
Papa Francesco definisce questo pensiero in maniera chiara e diretta: “Il dono non è un concetto astratto, un generico richiamo al regalo – tanti regali possono essere interessati – ma un atteggiamento e un’azione che hanno le proprie radici nel messaggio del Vangelo. Si tratta di un’esperienza che fa crescere umanamente e spiritualmente, aprendo la mente e il cuore agli ampi spazi della fraternità e della condivisione. Così si costruisce la civiltà dell’amore!”.
L’antropologo Marino Niola – facendo riferimento agli studi di Bronisław Malinowski (studioso polacco vissuto nel secolo scorso) su un’usanza di alcuni popoli aborigeni – rappresenta il dono come motore della società e dell’economia: “Gli indigeni osservati affrontavano traversate oceaniche lunghissime e piene di pericoli a bordo delle loro piroghe, per portare doni agli abitanti di isole lontane. Una generosità incomprensibile e un coraggio ai limiti dell’incoscienza, visto che a viaggiare su quelle acque tempestose e infestate di squali erano collane e braccialetti di conchiglie. Cose futili e non beni necessari. Questi monili venivano rigirati, da coloro che li avevano ricevuti, agli abitanti dell’isola più vicina. Che a loro volta li indossavano un po’ e poi prendevano il mare per andare a farne omaggio agli abitanti di altre terre. Creando così un circuito virtuoso di scambi (kula) per cui il dono, prima o poi, tornava nelle mani del primo proprietario.
Per gli indigeni ogni passaggio di mano in mano caricava il dono di prestigio. Che stava in buona parte in un plusvalore relazionale. Come certi diamanti leggendari di cui si espone la cronologia di coloro che li hanno posseduti.
La ragione di quella fatica non stava nel valore d’uso degli oggetti, bensì nel loro valore di scambio. Che si fondava soprattutto sulle alleanze prodotte da quel circuito di reciprocità. Il dono insomma funzionava come un contratto sociale, facendo di tante popolazioni straniere, lontane e potenzialmente nemiche, un vero e proprio sistema. Ordinato e coordinato. Una federazione che metteva in moto una rete di relazioni sovralocale. Dalla quale non si usciva mai. Infatti, i Trobriandesi dicevano con orgoglio che «l’appartenenza al kula è per sempre».
Questa usanza era capace di connettere genti e paesi separati da migliaia chilometri di mare, a dispetto dei loro fragili mezzi, fare uscire quelle isole dal loro isolamento e farne un solo grande arcipelago.
Come dire che il dono è l’origine stessa del legame sociale, il gesto primario, incondizionato e gratuito che fa uscire l’individuo da sé stesso e lo lega agli altri in una rete che assicura scambio protezione e solidarietà.
La parola solidarietà
Il termine solidarietà deriva dall’espressione del diritto romano in solidum obligari (obbligazione in solido), cioè un vincolo per cui dei debitori si impegnano a pagare gli uni per gli altri, e ognuno per tutti, una somma presa in prestito o dovuta in altro modo. È nell'800 che l’espressione giuridica obbligazione in solido lascia lo spazio al termine solidarietà nel suo significato moderno: l’idea di una fratellanza universale degli uomini. Succede precisamente in Francia dove i padri fondatori della sociologia, Auguste Comte ed Émile Durkheim, introducono per la prima volta il termine solidarietà col significato di “legame di ciascuno con tutti”.
La parola solidarietà compare anche nella nostra Costituzione e precisamente nell’art. 2, dove è messa in relazione ai diritti inviolabili: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale”. E nell’art. 119, come compito specifico delle autonomie locali: “Promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale”.
Una definizione molto bella di solidarietà la offrì san Giovanni Paolo II al n. 38 della enciclica Sollicitudo rei socialis (dicembre 1987). Lo fece partendo dalla constatazione che vi è un’interdipendenza economica, politica, culturale e religiosa sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo e che il nome etico da dare a quest’interdipendenza è solidarietà: “Non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano quella brama del profitto e quella sete del potere”. Come dire che siamo tutti sotto lo stesso cielo, tutti sulla stessa barca, e questo dovrebbe spingere ciascuno di noi alla fondamentale e irrinunciabile costruzione del bene comune.
Più di recente, papa Francesco, nel discorso tenuto in occasione della Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione della FAO (novembre 2014), sottolineò che “la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune. Solidarietà è farsi carico del problema dell’altro”.
Un gesto di grande valore sociale
Il lascito solidale è, dunque, un gesto di grande generosità e responsabilità: significa voler continuare ad aiutare chi ha bisogno oltre la durata della propria vita. Lasciare la traccia di sé legata alla fraternità. Un impegno che continua con consapevolezza e amore. Ma è anche un tipo di donazione sicuramente legata alla gratitudine e alla fiducia che una persona nutre verso l’ente beneficiario e all’importanza che questo attribuisce al motivo per cui il donatore desidera lasciare beni o denaro dopo la sua morte.
Fare testamento solidale significa lasciare i propri beni, o anche solo una parte, ad una o più associazioni, organizzazioni, enti del Terzo settore. Non è necessario si tratti di grossi patrimoni, anche un piccolo contributo può fare la differenza.
Un testamento si può fare in qualsiasi momento. Questo può essere olografo, cioè scritto di proprio pugno; pubblico, redatto cioè da un notaio in presenza di testimoni o segreto, consegnato cioè in deposito a notaio in busta chiusa. Ognuna di queste tipologie di testamenti produce effetto solo al momento dell’apertura della successione e ha lo stesso valore. Il testamento si può modificare o annullare in qualsiasi momento.
Si possono lasciare in testamento: una somma di denaro, azioni, titoli d’investimento; un bene mobile, come un’opera d’arte, un gioiello o anche un arredo; un bene immobile, come un appartamento; una polizza vita.
Affinché il lascito sia valido è fondamentale indicare chiaramente l’organizzazione beneficiaria del proprio testamento.
Fare un testamento solidale significa, oltre a donare beni materiali, anche e forse soprattutto tramandare i propri valori, normalmente infatti questo tipo di lasciti sono destinati a enti e organizzazioni il cui impegno e i cui progetti di cura sono condivisi dal donatore.
Il lascito solidale è uno strumento attraverso il quale poter praticare il bene senza interruzione, contribuendo a cambiare il mondo anche dopo la vita. Lasciare i propri beni seguendo questa prassi può contribuire ad alleviare dolori e nutrire bisogni là dove è necessario: in luoghi di guerra, di emergenze e calamità, luoghi dove c’è fame e ingiustizia sociale, in luoghi di malattia e disabilità, dove c’è bisogno di scuole, di cure o di ricerche scientifiche per debellare malattie… luoghi in cui ciò che si dona può essere investito e diventare così un importante e concreto moltiplicatore di bene.