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Frate Indovino

Cura del Creato

Evangelizzare con l’amore

12 settembre 2019
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Lo scorso anno, poco prima di terminare il mio secondo mandato quale Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini, mi sono recato in visita ai confratelli che risiedono a Tiaret, una città a sud di Orano, in Algeria. Sono in quattro e vivono in un contesto quasi esclusivamente mussulmano. La comunità cristiana a loro affidata è costituita da una manciata di studenti sub sahariani che hanno ottenuto una borsa di studio dal governo algerino. I frati prendono su di sé lunghi viaggi in autobus per garantire di tanto in tanto le celebrazioni liturgiche a comunità di sorelle francescane, dislocate a varie centinaia di chilometri di distanza dalla loro fraternità. Non è permesso loro di annunciare apertamente il Vangelo al di fuori dello spazio ristretto dei luoghi destinati al culto. Condividendo la Settimana Santa con questi miei fratelli, ho compreso la lungimiranza di quanto san Francesco ha previsto circa i due modi di essere presenti in mezzo ai saraceni. Nel quartiere tutti sanno che siamo cristiani e i rapporti con i vicini sono cordiali e improntati a rispetto reciproco. Ed è così che possono nascere delle amicizie particolarmente profonde come quella che l’attuale Vescovo di Orano, mons. Jean-Paul Vesco descrive nel suo libro sull’amicizia, affrontando il tema dell’amicizia tra un cristiano e un mussulmano: “Sono cosciente del fatto che non avrò mai accesso alla verità dell’altro attraverso lo studio dei suoi testi sacri. Può apparire misterioso, ma è così. La Bibbia e il Corano, come tutti i grandi testi sacri, dicono qualcosa su Dio solo mediante una lettura credente. In mancanza di questa, essi non sono altro se non dei testi degni di essere studiati senza fine. Non ho accesso alla verità di un’altra religione se non attraverso la vita e la testimonianza di credenti degni di fede. Ho bisogno della fede dell’altro per aver accesso alla sua parte di verità. Vivendo in un contesto mussulmano non ho altra pretesa se non quella di impegnarmi a dare la testimonianza di un credente degno di fede. Quando due credenti degni di fede si incontrano amichevolmente, sono le loro fedi che si incontrano al di là delle differenze delle loro religioni e questa esperienza è di per sé stravolgente”. In questo senso credo pure sia urgente elaborare una teologia delle religioni che ci permetta uno sguardo sereno, ammirato e altamente rispettoso della fede altrui e delle fonti alle quali questa si alimenta. Quando incontrai mons. Vesco nella primavera dello scorso anno non erano ancora stati stabiliti né la data né tanto meno il luogo della beatificazione dei 19 martiri di Algeria, compresi i monaci di Tibhirine. Jean-Paul mi diceva che per lui era assolutamente necessario che in un certo qual modo venissero associate a quella celebrazione anche le 200 mila vittime del terrore di fede mussulmana. Mi ha molto impressionato il fatto per cui lo scorso 8 dicembre, all’inizio della celebrazione, mons. Vesco ha letto in arabo il testamento del giovane mussulmano che è rimasto volutamente accanto all’allora Vescovo di Orano Pierre Claverie e ha subito la sua stessa sorte, accompagnandolo al rientro a casa il primo giorno del mese di agosto del 1996. Toccante a questo proposito quanto è stato espresso e poi testimoniato con la sua vita fino alla morte da Christian Chergé e dai suoi compagni trappisti del monastero di Notre Dame de l’Atlas. La presenza dei cristiani in quel Paese e certamente in molti altri, ispirandosi all’incontro che ha avuto luogo a Damietta 800 anni or sono, rimane una presenza senza perché, gratuita e mons. Vesco insiste dicendo che il loro modo di evangelizzare è semplicemente quello di amare e basta.

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