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Frate Indovino

Cura del Creato

Emergenza planetaria

11 febbraio 2020
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Un punto della situazione sulla questione ambientale

Innanzitutto va precisato che il cambiamento climatico, per quanto se ne sia discusso ampiamente solo negli ultimi anni, non è questione nuova: correva infatti l’anno 1988 quando le Nazioni Unite decisero di costituire il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) con l’obiettivo di «fornire ai governi ad ogni livello informazioni scientifiche che possano utilizzare nello sviluppare politiche sul clima». Per intenderci, nel 1988 auto dell’anno era la Peugeot 405 – che nella versione di allora oggi non potrebbe nemmeno circolare –, e la raccolta differenziata in Italia era ai suoi albori con la prima legge specifica emanata proprio in quell’anno: insomma, erano tempi di sensibilità ambientale assai diversa, eppure già c’era la consapevolezza della necessità di affrontare le questioni climatiche. Nel 1990 l’IPCC pubblicò il suo primo rapporto, che diede inizio ai negoziati che portarono, nel 1992, alla firma della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici della Nazioni Unite. Termine forse un po’ altisonante, che sta ad indicare comunque una presa di coscienza dei cambiamenti climatici in atto: in particolare del problema dei gas ad effetto serra – ossia quelli in grado di mantenere vicino al suolo il calore solare, come avviene appunto in una serra – emessi dalle attività umane, e del conseguente aumento della temperatura. Centrali elettriche e impianti industriali a combustibili fossili, automobili, aerei, agricoltura e allevamento, smaltimento dei rifiuti nelle discariche: sono tutte attività che, almeno così come le pratichiamo oggi, provocano emissioni di gas serra nell’atmosfera.

La terra si scalda

L’aumento di temperatura, già allora si diceva, se fosse proseguito avrebbe causato danni irreversibili. Da allora si sono tenute diverse conferenze per coinvolgere sempre più Paesi in questo processo, stabilire nuove azioni e nuovi obiettivi, e monitorare che cosa era stato fatto: tra le più importanti c’è quella del 1997 a Kyoto, dove fu elaborato il protocollo che porta il nome di questa città, e che impone agli Stati firmatari dei limiti nelle emissioni di gas serra. Questo ha costituito la base per le conferenze successive; e siamo alla venticinquesima, tenutasi a Santiago del Cile dal 2 al 13 dicembre 2019. L’Unione europea, dal canto suo, si è posta l’obiettivo di ridurre entro il 2020 il 20% delle emissioni rispetto al 1990, e del 40% entro il 2030; tramite normative apposite per limitare le attività più inquinanti, favorire l’utilizzo di energie rinnovabili, migliorare l’efficienza energetica di elettrodomestici ed altri dispositivi, e realizzare politiche ambientali che contrastino l’aumento di carbonio nell’aria.

Le calotte polari si sciolgono



Al di là degli accordi tra Stati su come agire a livello legislativo per limitare le emissioni di gas serra – soprattutto anidride carbonica e metano – quali sono le cose che oggi sappiamo sul cambiamento climatico? Innanzitutto, che è cosa diversa dalla “variabilità climatica”. Per quest’ultima, infatti, si intendono le naturali variazioni del clima – sempre accadute nella storia –; con il primo, invece, i cambiamenti prodotti dall’uomo. Naturalmente non sempre è facile distinguere i due casi; però l’aumento delle emissioni di gas serra nell’ultimo secolo è un fatto. Secondo i modelli elaborati studiando la temperatura degli ultimi 1000 anni, si evidenzia un leggero aumento delle temperature in epoca medievale, una leggera diminuzione nell’epoca preindustriale, seguita da un rapidissimo aumento nell’ultimo secolo: la velocità e l’ampiezza di questa variazione, secondo gli studiosi, è tale da provare che non ci sono solo cause naturali in gioco. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, già abbiamo superato l’aumento di un grado della temperatura media rispetto all’epoca preindustriale, tra il 2030 e il 2050 si arriverà a superare il grado e mezzo, e prima del 2100 i due: che è considerato la soglia critica al di sopra della quale si innescherebbero processi non più reversibili. Lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai, ad esempio, cambierebbe in maniera definitiva la temperatura dell’acqua e delle correnti marine; provocando a sua volta cambiamenti nella circolazione atmosferica e quindi del clima in vaste zone del pianeta (che potrebbero diventare anche più fredde, o conoscere eventi estremi come improvvise gelate o ondate di calore), e di conseguenza della vegetazione e delle specie animali. Strettamente collegato a questo è il problema dei rifugiati climatici: persone cioè costrette a spostarsi dalle loro terre, perché divenute inospitali a causa di questi cambiamenti. Si stima che potrebbero essere 200 milioni entro il 2050; e le zone più colpite sarebbero l’Africa subsahariana e il Sud e Sudest asiatico. Più in piccolo, ciascuno di noi fa esperienza di come siano più frequenti eventi meteo insoliti (temporali particolarmente violenti, estati insolitamente calde o inverni insolitamente freddi); o vede come i ghiacciai alpini siano sempre meno presenti (ha recentemente fatto scalpore il caso di una parte del ghiacciaio del Monte Bianco che sta letteralmente cadendo a valle).

Custodi del Creato

Per quanto ci siano degli scienziati che confutano la portata dell’attività umana nei cambiamenti climatici, la maggior parte continua a sostenere la necessità di agire quantomeno per limitare gli impatti negativi delle nostre attività sul pianeta; una consapevolezza insita soprattutto nei giovani, che nell’ultimo anno hanno trovato una loro leader nella figura di Greta Thunberg, la quindicenne svedese che ha iniziato da sola a Stoccolma lo “sciopero per il clima”, arrivando a creare un movimento di portata mondiale. Oltre alla discussione tra chi condivide i suoi metodi e le sue affermazioni e chi no, rimane il fatto che le nuove generazioni chiedono con forza una maggior cura del creato: su cui tanto si è espresso, anche papa Francesco nella sua Laudato Si’. I tempi sono maturi affinché, anche al di là del credo religioso, si affermi la concezione per cui l’uomo è sì attore principale del creato, ma che appunto per questo ne è anche custode attivo?

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