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Il giudice disonesto

La virtù della perseveranza

"Il termine perseveranza deriva dal latino “perseverantia” composto da “per” (a lungo) e “severus” (rigoroso). È la virtù che fa impegnare un uomo nella sua attività per raggiungere l’obiettivo che si è prefissato. Perseverare per raggiungere una meta significa mettere in campo tutta la propria energia interiore, senza lasciarsi sconfiggere o fuorviare da difficoltà, opposizioni o parziali sconfitte. Nelle difficoltà la cosa peggiore è rassegnarsi, tornare sulle proprie scelte, cambiare i propri progetti, mentre invece occorre reagire con fermezza e mantenere fisso il proprio obiettivo. Alleata della perseveranza è la resilienza, che è, insieme, abilità di reagire di fronte agli urti inevitabili delle situazioni avverse e spinta a rimettersi in cammino. Nella teologia morale cattolica la perseveranza è la virtù che sostiene l’uomo nella lotta per il conseguimento del bene, senza soccombere agli ostacoli, alla stanchezza, o allo sconforto. Proprio perché è una virtù, la perseveranza non va confusa con la testardaggine o con l’ostinazione. Queste infatti si nutrono di orgoglio e di esibizionismo, mentre la perseveranza è l’altro volto del senso di responsabilità. Con il suo stile di vita, e la sua perseveranza, il cristiano dimostra che vi sono progetti e obiettivi per i quali vale la pena spendersi fino in fondo e che, per raggiungerli, bisogna essere disposti a superare ogni tipo di difficoltà e, soprattutto, la tentazione, sempre in agguato, di ripiegare su sé stessi e perdere la fiducia nella Provvidenza di Dio.".

«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi” » [Lc 18, 2-5].

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