"(1866-1942) - Ultimo di dodici fi gli, nasce sulla costa dalmata da una famiglia nobile, ma ridotta in povertà per vicende politiche. I suoi ritennero prima nobiltà d’animo quella della fede cattolica. A 18 anni entrò tra i Cappuccini veneti e prese i voti l’anno successivo. Alto solo un metro e 35 centimetri, sempre malaticcio e sofferente, visse con un ideale radicato nel cuore: spendersi totalmente per il ritorno del suo popolo croato, e degli altri popoli slavi, all’unità cattolica. Questo è stato per lui il sogno di una vita per il quale ha lottato, ha pianto, ha sofferto, ha “offerto”, ha supplicato. «Io ho sempre l’Oriente davanti ai miei occhi» diceva. Dopo la morte furono ritrovati tra le sue cose personali ben 66 biglietti sui quali aveva annotato, pressoché con le stesse parole, il suo giuramento: «Rinnovo il voto fatto più volte con giuramento, di spendermi tutto per la redenzione del mio popolo ». Una vocazione che ha sempre cozzato contro i suoi problemi di salute. Il suo padre Provinciale un giorno ne chiarì i motivi: padre Leopoldo non avrebbe potuto predicare, aveva la parola ora lenta ora precipitosa, affaticata, quasi balbuziente; si presentava in un corpo piccolo, curvo, pallido, estremamente fragile, tormentato da non pochi malanni, quali dolore agli occhi, debolezza di stomaco, artrite deformante. Buone ragioni umane, che padre Leopoldo seppe accettare ed integrare nel suo progetto: l’obbedienza gli aveva affi dato di attendere alle confessioni? Allora «ogni anima che chiederà il mio ministero sarà il mio Oriente!». Così per 33 anni è rimasto chiuso nel suo confessionale (uno stanzino di due metri e mezzo per 1,70) per circa 10-12 ore al giorno. Lì padre Leopoldo ha potuto dare il meglio di se stesso. Quante anime in 30 anni l’avvicinarono per scaricare i loro fardelli e trovare misericordia, e lui sempre disponibile, attento, affabile, infaticabile, senza interruzione e senza riposo. Lo rimproveravano perché dicevano che fosse troppo di manica larga e lui rispondeva che Gesù, sulla croce, le maniche non ce le aveva affatto! Trovato in chiesa di notte, rispondeva che doveva fare la penitenza per i suoi penitenti. Umilissimo diceva: «Nascondiamo tutto, anche quello che può avere apparenza di dono di Dio in noi, affi nché non se ne faccia mercato». Diceva ancora: «Un sacerdote deve morire di fatiche apostoliche, non c’è morte più degna per un sacerdote». Pochi giorni prima di morire, lo incontrò il superiore lungo il corridoio che si trascinava per recarsi in confessionale. Invitato a tornare alla sua cella, rispose: «Padre, abbia pietà di me… C’è tanto bene da fare!». Morì nel 1942. In un’incursione aerea del Maggio 1944 le bombe colpirono la chiesa e parte del convento dei Cappuccini di Padova. Il confessionale di padre Leopoldo rimase intatto, come egli aveva previsto. Nella ricognizione del 24 Febbraio 1966, la sua salma fu ritrovata incorrotta. Accanto alla tomba, in un reliquiario, è esposta la sua mano destra benedicente, memoria di quel perdono che ha irradiato per tutta la sua vita. ".
Ci sono malattie vere, malattie immaginarie, malattie di comodo… Il campo è ampio e intricato e, all’occorrenza, non è facile riconoscere una malattia vera da una “diplomatica”. Sì, perché le malattie di comodo (o diplomatiche) sono altrettante e più frequenti di quelle vere. Sentite questa: in un convento c’è da fare d’urgenza un lavoretto nell’orto. Data la premura il superiore risolve di mandare i primi fratelli che incontra. Ne trova un paio subito disponibili. Il terzo ha qualche problema: «Padre, mi fa tanto male una gamba…». «Non ci far caso, figliolo» risponde «è l’età». «Sì, ma l’altra ha la stessa età e non mi fa male…».
