“Laudato si’, mi’ Signore,
per quelli ke perdonano per lo Tuo amore...”
La figura di San Francesco è stata fondamentale per Dante e per Giotto, artisti coetanei, nati entrambi a Firenze, inventori di un realismo potente e allegorico. E, a proposito di realismo, il Cantico delle creature – di cui abbiamo citato un verso – ci trasmette subito una idea tangibile della percezione della realtà nel Medioevo. Nonostante le guerre e le pestilenze, nonostante la mortalità infantile altissima, etc. si riteneva che la vita fosse benedetta. Una cosa difficile da capire per noi moderni. Dante è convinto di abitare un cosmo armonico e stabile, creato per amore (l’amore muove il sole e le altre stelle). E l’amore naturale è “senza errore”, come ci ricorda Virgilio nel XVII del Purgatorio: poi si corrompe e viene deviato quando diventa smodato o troppo flebile o rivolto a oggetti sbagliati.
In questo senso non possiamo attualizzare Dante oltre il dovuto: resta un uomo del Medioevo, immerso nella metafisica aristotelico-tomista, con la sua fede granitica, convinto della liceità della vendetta e della guerra contro gli “sterpi eretici”, sostenitore dell’autorità dell’imperatore. Eppure abbiamo il dovere di farlo parlare, di dialogare con lui, come con ogni altro classico. E allora affiora nella Divina commedia un’altra verità, che trascende la sua epoca storica. Qui torniamo a san Francesco e al Cantico delle creature.
Dio è presentato, all’inizio del Paradiso, come luce, dunque non come potenza. Ha creato il mondo “non per aver a sé di bene acquisto” ma – con un atto di amore gratuito – perché il suo splendore risplendesse nelle creature. Si compiace della nostra esistenza stessa, e della nostra libertà. E così apprendiamo che san Francesco – che Dante incontra nel cielo del Sole (XI canto) – si fece “pusillo”, e cioè piccolo. Perché? Per limitare se stesso, per fare posto agli altri e per poterli amare. In Dante il bene è precisamente dare realtà a cose e persone (una definizione che troviamo nei Quaderni della pensatrice Simone Weil, che ad Assisi ebbe una esperienza mistica). Agire bene non per obbedire a un precetto ma per far esistere di più il mondo intorno a noi, e si tratta di un mondo affollato di creature e di esseri viventi.
L’Inferno dantesco è tutto sotto l’egida di Aristotele, dunque il valore più alto per il mondo pagano è la giustizia. Ma già il Purgatorio si ispira all’etica cristiana, alle Beatitudini del Vangelo: alla giustizia – che può anche avere un volto duro, intransigente – si contrappone l’amore (irragionevole, smisurato, in qualche caso anche “ingiusto”), la carità, il perdono incondizionato di cui parla san Francesco.