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Sentire l'ora: le campane

11 novembre 2019
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Punto 7 del testo

A volte non si poteva vedere l’ora (con il tempo nuvoloso le meridiane non funzionavano) e allora si ricorreva all’uso delle campane, con il loro suono per certi versi tranquillizzante e per altri allarmante quando segnalavano un pericolo imminente.

Per la massa della popolazione il principale punto di riferimento temporale era, dunque, il suono delle campane della chiesa o del palazzo civico. Perciò avere delle buone campane era per le città e per i villaggi una necessità, ma anche un vanto. Salimbene de Adam, il brillante e vivace cronista francescano, racconta le vicissitudini che toccarono ai Parmensi nel 1285, dopo che la vecchia campana comunale si era rotta: incaricarono un magister pisano che già lavorava in città (i fonditori pisani erano tra i più bravi a far campane), il quale però fallì: la prima volta la campana venne male, la seconda venne bella ma non suonava bene. Chiamarono allora un bonus magister da Pisa, spendendo un capitale: ma la campana che costui realizzò né era bella né suonava bene. I Parmensi allora riaffidarono l’incarico al primo magister, che sembrò riuscire; la sua campana funzionò una, due volte; alla terza si ruppe, ma non per colpa sua bensì per l’imperizia del campanaro comunale. Ma la volta successiva, a quanto pare, il risultato fu finalmente all’altezza delle aspettative.

Le campane avevano una loro personalità, tant’è vero che le si chiamava per nome. Le sette campane del Duomo di Pisa si chiamavano Vespruccio, Moschetta, Terza, Nuova, Pasquareccia, Giustizia, Ave Maria e Assunta. A Valencia le campane del Duomo avevano nomi di persone: Micalet, Caterina, Jaume, Pau, Manuel, Maria, Vicent, Ursula, Arcis, Andreu, Barbara.

Il cerchio di ascolto della campana segnava i confini della pieve, in campagna, e della parrocchia, in città. Mentre il ruolo delle campane delle chiese era, a parte le evenienze eccezionali, quello canonico, l’uso e le funzioni delle campane civiche dovevano essere regolati dai Comuni. Prendiamo Città di Castello, che nello Statuto del 1261 detta numerose norme in proposito. Se c’era un pericolo imminente di incendio, la campana del Comune suonava cinque rintocchi; ma se l’incendio era già divampato la campana del Podestà suonava a distesa. Le campane non dovevano suonare solo per i morti (questo era compito delle chiese), ma anche per i moribondi: se qualcuno stava per morire le campane suonavano lugubri rintocchi per invitare il popolo a raccogliersi in preghiera: per una donna i rintocchi erano due, per un uomo tre, per un chierico «tanti quanti erano stati i suoi ordini in vita» (si parla degli ordini chiericali). Perciò l’agonia del vescovo richiedeva, a essere precisi, otto rintocchi, considerando i cinque ordini minori e i tre maggiori: suddiacono, diacono, prete e, appunto, vescovo. Molto importante era stabilire quando il giorno finiva, poiché nelle città medievali di notte vigeva il coprifuoco: lo Statuto tifernate ordinava che il Capitano del Popolo ogni sera facesse suonare il tintinnabulum tre volte verso il tramonto, in modo da avvisare tutti che era l’ora di tornare a casa; dopo qualche tempo seguivano altri tre rintocchi. Da quel momento in poi nessuno poteva più circolare per la città o stare fuori casa; e si dovevano chiudere gli scuri per occultare il riverbero dei fuochi: il ‘coprifuoco’, appunto.

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