[761] Dimostrava una grande compassione per gli infermi e una tenera sollecitudine per le loro necessità... Tuttavia ammoniva i sofferenti a sopportare pazientemente le privazioni e a non gridare allo scandalo, se
non erano soddisfatti in tutto. Per cui in una Regola fece scrivere così: «Prego tutti i miei frati infermi, che nelle loro infermità non si adirino né si turbino contro Dio o contro i fratelli. Non chiedano con insistenza le medicine, né desiderino troppo di risanare il corpo, che è nemico dell’anima e destinato a morire presto. Di ogni cosa sappiano rendere grazie a Dio, in modo da essere quali li vuole il Signore. Perché quelli che Dio ha preordinati alla vita eterna, li ammaestra con il pungolo dei flagelli e delle malattie. Ha detto infatti: “Io correggo e castigo quelli che amo”».
LAUDATO SI’, MI’ SIGNORE, PER QUELLI KE SOSTENGO INFIRMITATE E TRIBULAZIONE
La sofferenza è inseparabile dall’esistenza terrena dell’uomo. Tutti nel corso della vita facciamo esperienza di qualche patimento fisico o morale. La diagnosi di una malattia grave, di un tumore, ci spoglia all’improvviso
di ogni volontà e ci lascia soli, vulnerabili, impotenti, disperati. Ma, anche la sofferenza causata da un semplice dispiacere è tanto insopportabile che vorremmo rifiutarla, scacciarla subito via. Tutti, direttamente o indirettamente, dobbiamo, prima o poi, sopportare eventi che non ci piacciono e non dipendono da noi, e solo in pochi li sanno sostenere «in
pace». Ci sono persone che vivono esistenze dove non mancano dolore e tribolazione, ma che conservano la pace attraverso la grazia di Dio, abbandonandosi a Lui, alla Sua volontà. E questi sono «beati» come ci ricorda san Francesco. Per un cristiano, infatti, la sofferenza viene vista come una visita di Dio, fatta per conformarci a Gesù. Non è infatti la sofferenza di Gesù che ci ha redenti dal male, ma il suo amore, un amore giunto a dare la vita per noi. Al centro della nostra redenzione non c’è il dolore ma l’amore. Per questo “portare la croce” significa amare come Gesù.