Quella di intrecciare vimini per ricavarne contenitori utili al trasporto di mille prodotti e allo svolgimento delle più comuni attività, specialmente agricole, è un’arte povera conosciuta anch’essa fi n dalla preistoria. Lo attestano le mitologie di molti popoli e la stessa Bibbia. Basti ricordare Mosè che, ancora in fasce, fu deposto in un cesto di vimini, spalmato all’esterno di bitume e affidato alle acque del Nilo per salvarlo dalle ire del faraone. Questo mestiere, fiorente sin da tempi così remoti, era praticato soprattutto dagli agricoltori, i quali, nel Medioevo si costituirono in corporazioni specifiche. In passato l’abilità di intrecciare i vimini, si acquistava fi n da ragazzi; non necessitava infatti di attrezzature ricercate e costose: bastava qualche coltello, un falcetto, un punteruolo, un martello per serrare le verghe che funzionavano da trama e altri pochi oggetti semplici e facilmente reperibili, tra cui una seggiola o uno sgabello di legno per sedervi. I cestai lavoravano preferibilmente all’aperto, sull’uscio di casa, o al riparo di una semplice tettoia, per avere a portata di mano tutto l’occorrente e poter poggiare la base dell’oggetto in lavorazione su un sostegno piano e rigido. Anche la scelta e la preparazione dei vimini era importante per la riuscita dell’oggetto che si intendeva realizzare. Poi l’abilità dell’artigiano permetteva di ottenere le forme più svariate, talvolta degli autentici capolavori. Per realizzare questi simpaticissimi e pratici oggetti si utilizzavano rami giovani di alcune varietà di salice (in luoghi palustri anche di giunchi) tenuti a lungo a bagno e variamente trattati per ottenere gli effetti desiderati.