Mia madre è terziaria francescana. Quando eravamo bambine, non voleva che io e mia sorella eliminassimo, con l’acqua, le lunghe, nere file di formiche che, d’estate, facevano la processione indesiderata in casa nostra. “Sono creature di Dio! – diceva – San Francesco non le avrebbe mai toccate”. Mia sorella, però, era convinta che anche san Francesco qualche formica l’avesse, seppure involontariamente, schiacciata. Ma non osava dirlo alla mamma. Lei teneva tanto a quel Santo che la mia prima poesia, ad otto anni, io la dedicai proprio a Lui. Mia madre ancora la conserva e la recita a memoria, come fosse una preghiera: «San Francesco benedetto/ che fai il presepe nella grotta/ che parli al lupo e agli uccelli/ che sempre ceni a pane e acqua;/ tutti chiami fratello e sorella/ le donne, gli uomini, gli animali, la luna, il sole, le stelle. Insegnaci la tua serena, dolce umiltà. E così sia!». Così, la devozione a questo Santo è, per me, devozione a mia madre, ai ricordi dell’infanzia, alle poesie. E, al contempo, è devozione alla pace, perché san Francesco aveva nettamente rifiutato la guerra e tutti gli interessi economici ai quali le guerre sono, in realtà, strettamente collegate. Dal suo bisogno di mettere al centro del mondo il Bambino Gesù, nasce la tradizione del presepio. Per san Francesco, dunque, ogni bambino, ogni bambina, come il Bambino Gesù, è un prodigio. Una meraviglia d’amore, senza tempo e nel tempo.
Maria Rita Parsi Psicoterapeuta, docente universitaria, scrittrice